Donbass: vanno via gli osservatori e Kiev ricomincia a bombardare

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Ave­vano taciuto giu­sto il tempo di non farsi sen­tire dagli osser­va­tori stra­nieri pre­senti alle ele­zioni di dome­nica scorsa nel Don­bass. Già lunedì mat­tina le arti­glie­rie di Kiev ave­vano ripreso a spa­rare sui quar­tieri civili di Donetsk.

Ieri, intensi scon­tri si sono avuti attorno alla sacca in cui sono intrap­po­late forze rego­lari e della Guar­dia nazio­nale ucraina; sem­bra addi­rit­tura che Kiev abbia spa­rato pro­iet­tili incen­diari sulla zona del ponte Puti­lo­v­skij, che col­lega Done­tsk all’aeroporto. È la rispo­sta del governo cen­trale alle ceri­mo­nie di inse­dia­mento dei Pre­si­denti — Alek­sandr Zakhar­cenko e Igor Plot­ni­tskij — delle Repub­bli­che di Done­tsk e Lugansk. Una rispo­sta che, se sul piano mili­tare non giunge inat­tesa, sul piano poli­tico con­cre­tizza i nuovi rap­porti all’interno della coa­li­zione di governo uscita dal voto del 26 otto­bre per la Rada. Al sar­ca­stico com­mento di Poro­shenko — «una farsa sotto le canne dei fucili» — circa la mas­sic­cia par­te­ci­pa­zione popo­lare ai seggi dome­nica 2 novem­bre, suben­tra ora il ben più duro pro­getto (pre­sen­tato alla Rada dal lea­der del Par­tito radi­cale Oleg Lja­shko) di abro­ga­zione dello sta­tus spe­ciale con­cesso al Donbass.

Lunedì Poro­shenko ne aveva pro­po­sto al Con­si­glio di difesa la sosti­tu­zione con uno diverso (zona eco­no­mica libera, sotto legge ucraina, con libertà di com­mer­cio con Ue e Rus­sia) con­di­zio­nan­dolo però alla fis­sa­zione di nuove ele­zioni che inva­li­dino il voto del 2 novem­bre. Le Repub­bli­che non solo hanno rispo­sto pic­che — «in ogni caso, lo sta­tus spe­ciale non ha mai fun­zio­nato» ha detto Andrej Pur­ghin — ma men­tre con­fer­mano la dispo­ni­bi­lità al dia­logo con Kiev, hanno tac­ciato di «totale popu­li­smo», che dura da 15 anni, ogni idea di decen­tra­liz­za­zione del potere.
Sul fronte diplo­ma­tico, il Mini­stero degli Esteri ucraino ha inviato lunedì una nota di pro­te­sta alla Rus­sia per l’appoggio dato alle Repub­bli­che di Done­tsk e Lugansk e ieri ha accu­sato il Crem­lino di sabo­tare gli accordi di Minsk.

Secondo Mosca, invece, pro­prio le ele­zioni rispon­dono a que­gli accordi. Il con­tra­rio di quanto soste­nuto dalle diplo­ma­zie occi­den­tali, che hanno già fatto sen­tire la pro­pria voce. Se Washing­ton non esclude l’introduzione di nuove san­zioni con­tro Mosca, più mor­bida la can­cel­liera tede­sca Mer­kel, secondo la quale «non c’è motivo di pen­sare di rinun­ciare alle attuali», riba­dendo lo sforzo per una solu­zione diplo­ma­tica. La «mini­stra degli esteri» Ue Fede­rica Moghe­rini ha dichia­rato che «le san­zioni pos­sono essere man­te­nute, ina­sprite o alleg­ge­rite in rela­zione alla situa­zione», defi­nen­done però discu­ti­bile l’efficacia sul piano poli­tico. Più diretto l’approccio Nato: il coman­dante in capo delle forze atlan­ti­che in Europa ha dichia­rato che Mosca sta spo­stando verso ovest il con­fine e, in tali cir­co­stanze, può gene­rarsi un con­flitto tra Rus­sia e Nato.



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