GERUSALEMME.«STIAMO precipitando nella dimensione del fanatismo e dell’irrazionalità, siamo ormai sull’orlo dell’abisso». Il dolore è palpabile nelle parole di David Grossman, lo scrittore israeliano voce di una generazione che al sogno della pace in Terrasanta non ha mai smesso credere, oggi non più riesce vedere quella speranza. «Il conflitto che stiamo vivendo ha fatto un salto indietro nel tempo, è sempre più brutale e più selvaggio. Le stesse armi usate per la strage, coltelli e accette, testimoniano il ritorno a una guerra tribale».
Mai finora il terrore sanguinario aveva passato le porte sacre di una sinagoga. Una strage che lascia sgomenti…
«Un profondo dolore e rabbia si mescolano per l’assassinio di persone innocenti, nel momento della preghiera del mattino, colpiti a casaccio, alla cieca, solo perché erano israeliani ed ebrei. Ma sento anche una grande frustrazione nel vedere, giorno dopo giorno, nuove vittime dalle due parti. Uccisi, feriti, investiti o rapiti in questo circolo vizioso di violenza e di odio, che coinvolge nella sua spirale sempre più gente e che si sta trasformando da conflitto politico, che forse ha ancora una qualche piccola possibilità di venir risolto, in conflitto religioso, fondamentalista e di conseguenza irrazionale e primordiale. Conflitti di questo tipo, per la loro stessa natura, continuano a lungo e sono di difficilissima soluzione. Nel corso degli anni varie persone ed organizzazioni, sia israeliane che palestinesi, hanno tentato in modo quasi disperato di arrivare ad una soluzione del conflitto, mentre era ancora nella sua fase politica: l’idea che stava dietro questo sforzo immane era appunto che non si poteva consentire che sfociasse nell’irrazionalità e nel fondamentalismo ».
La Città Santa per le tre religioni è il simbolo di questa tempesta?
«Ciò che oggi vediamo a Gerusalemme, giorno per giorno e quasi ora per ora, è un pericolosissimo precipitare nella dimensione del fanatismo e dell’irrazionalità. Sarà quindi molto più difficile adesso che in precedenza cercare una soluzione del conflitto e forse ciò dovrebbe essere il motivo e la spinta per i leader dei due popoli di agire subito e con la massima potenza, iniziando un processo di dialogo fra loro, invece di insultarsi e incolparsi a vicenda, incitando ancora di più all’odio».
C’è il pericolo di un contagio con le altre crisi della regione?
«Certo, e si vede anche come l’estremismo barbaro venuto dall’Is, che ha introdotto dei modi di operare del tipo di quello di cui oggi siamo stati testimoni — persone che vengono uccise a colpi di accetta, in modo davvero bestiale — sta infiltrandosi nel conflitto israelo-palestinese. Era quasi possibile prevedere che sarebbe successo, poiché la nostra è una situazione così irrisolta, così carica di emozioni, che quando si concretizza un determinato modus operandi nelle nostre immediate vicinanze, i fanatici locali lo adottano immediatamente. Posso quindi dirle che provo la stessa repulsione e lo stesso sgomento che provai 20 anni fa, quando nel febbraio del 1994, Baruch Goldstein assassinò a Hebron 29 fedeli musulmani nella moschea della Tomba dei patriarchi».
Oltre alla evidente responsabilità dei due attentatori, lei ritiene che ci siano anche responsabilità politiche nell’accaduto?
«Sì, ritengo che una grande responsabilità di questi assassinii, da una parte e dall’altra, pesi sulle spalle di coloro che non hanno fatto praticamente nulla per cambiare la situazione, o, nel migliore dei casi, hanno fatto molto poco: coloro che parlano solo e soltanto con il linguaggio della forza, coloro che non fanno altro che far crescere la piena dell’odio fra i due popoli, coloro che, in definitiva, disperano a priori e portano alla disperazione il proprio popolo, negando ogni possibilità di arrivare ad un accordo. Costoro condannano i loro compatrioti ad azioni dettate dalla disperazio- ne e dall’odio. Né Abu Mazen né Netanyahu sono responsabili della catena di assassini degli ultimi tempi e certamente nessuno dei due li ha voluti, ma la loro inazione e la loro mancanza di sforzi porta a questa situazione. Il fatto stesso che già da molti mesi, per non parlare degli ultimi 47 anni, non sono stati fatti seri tentativi di risoluzione della situazione, porta ad una escalation della stessa».
È l’immobilismo il primo nemico per la soluzione della crisi israelopalestinese?
«Sì, invece di andare avanti, di cercare nuove vie di dialogo, di rimuovere ogni ostacolo per raggiungere punti di accordo possibili e di questi ce ne sono parecchi, vediamo specie in questi giorni, come il conflitto in cui ci troviamo precipita indietro nel tempo, diventa sempre più brutale, sempre più selvaggio. Le stesse armi usate, coltelli e accette, testimoniano il ritorno ad una guerra tribale. I leader dei due popoli, quando ancora era possibile evitare tutto ciò, non hanno fatto nulla. Anzi hanno commesso ogni errore possibile, usato ogni scusa possibile per non parlare e per non arrivare ad un compromesso. E perciò temo che ora, tutti noi dovremo affrontare un periodo molto difficile».
È in arrivo una Terza Intifada?
«Da persona che è nata qui e vive qui già da molti anni, conosco molto bene i meccanismi della violenza, come sia facile scatenarla e quanto sia difficile quietarla. La tradizione ebraica, come ha ripetuto il rabbino capo di Israele, vieta agli ebrei l’ascesa al Monte del Tempio, dove oggi sorgono le Moschee. Nel rispetto di questa tradizione, che non è una legge dello Stato, ma un precetto religioso accettato dagli ebrei di ogni generazione sin dalla distruzione del Tempio nel 70 d.C., si è venuto a creare uno status quo che è stato rispettato anche dai governi dello Stato d’Israele. Ariel Sharon, con la sua “passeggiata” provocatoria nel 2000, ha scatenato la seconda Intifada. Oggi vediamo che nuovamente esponenti politici di destra salire sulla Spianata, nel preciso intento di creare una provocazione. Si tratta di un atteggiamento bellicoso, irresponsabile e pericoloso, che può soltanto aggravare una situazione già di per sé esplosiva e portarci sull’orlo del precipizio».
Dovremmo dialogare subito e con forza, e invece sarà tutto più difficile
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