Cina. Il capo dell’esercito e quella tonnellata di mazzette in cantina

by redazione | 26 Novembre 2014 8:47

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PECHINO Il generale Xu Caihou aveva una grande cantina sotto la sua bella casa di Pechino. E in quel seminterrato di oltre duemila metri quadrati gli agenti dell’anti-corruzione cinese hanno trovato una tonnellata di banconote tra yuan, dollari ed euro. Erano divise in cassette, ciascuna con un’etichetta che riportava il nome dell’ufficiale che aveva pagato una tangente per comprarsi la promozione. Xu è sotto inchiesta da marzo, ha confessato, è stato espulso: è il militare di grado più alto caduto per corruzione nella storia dell’Esercito popolare di liberazione, dal 1949. Per mesi la faccenda è stata trattata con discrezione, perché l’Esercito è un’istituzione sacra in Cina e ha tra i suoi ranghi 2,3 milioni di uomini e donne in armi.

Il generale Xu, 71 anni, era al vertice dell’apparato: dal 2004 al 2012 vicepresidente della Commissione centrale militare, il comando supremo; di fatto ne era il capo operativo, perché la carica di presidente spetta al segretario generale del partito nonché presidente della Repubblica. Ora però, alla stampa è stato dato il via libera per rivelare i dettagli della vergognosa condotta di Xu.
Così si è saputo che oltre alla tonnellata di denaro, nella cantina erano nascoste gemme, decine di chili di giada pregiata, antichità: tutto frutto della compravendita di gradi nelle forze armate. In garage c’era anche una limousine con il cofano imbottito di lingotti d’oro: il regalo a Xu da parte del vicecapo della logistica militare (anche lui è stato arrestato). E siccome in un esercito con 2,3 milioni di militari gli ufficiali in attesa di promozione sono tanti, il seminterrato sotto casa di Xu non bastava a contenere le mazzette: il comandante aveva dovuto affidare una parte del bottino all’autista e a una attendente, una ragazza che secondo la ricostruzione sarebbe stata anche la sua amante. Lei lo avrebbe anche truffato, sottraendogli molto denaro, ma il generale naturalmente non l’aveva potuta denunciare, per non tradirsi. Per portar via le banconote e il resto del materiale dalla cantina ci sono voluti dieci camion, per fare l’inventario di tutto una settimana di lavoro, hanno fatto sapere gli investigatori della Commissione di disciplina. Con i loro nomi segnati con precisione su ogni cassetta di denaro, anche gli ufficiali promossi per tangente ora rischiano di finire degradati e già sui giornali filtrano voci su prossimi arresti «molto in alto».
Finora la campagna anti-corruzione aveva colpito l’enorme macchina burocratica civile della Cina, il coinvolgimento dei militari è un’ulteriore prova di forza del presidente Xi Jinping. Dietro si intravede anche uno scontro politico, con una fazione dell’Esercito accusata apertamente di «deviazionismo ideologico».
Nelle ultime settimane sulla stampa e in tv sono comparse decine di immagini di Xi Jinping in giacca alla Mao verde oliva tra gli ufficiali. Li ha convocati a Gutian, la base dove nel 1929 Mao Zedong stabilì il principio che il partito controlla l’esercito (allora Armata Rossa). E da Gutian Xi ha ripetuto la parola d’ordine di Mao: «È il partito che comanda il fucile». Gli editoriali dei giornali hanno scritto di «forze nemiche» che cercano di sottrarre l’esercito dalla guida del partito per nazionalizzarlo; di «lotte ideologiche», di «idee politiche scorrette». Ieri un nuovo avvertimento: «Gli ufficiali debbono provare la loro devozione al partito, chi non lo fa e ricorre a clientelismo e nepotismo sarà degradato o espulso».
Guido Santevecchi
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