Lo choc dei democratici traditi dagli elettori nella roccaforte rossa

Lo choc dei democratici traditi dagli elettori nella roccaforte rossa

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BOLOGNA «Mamma, ho perso la base…». Benedetto il senso dell’humour in questa notte di streghe. Il funzionario di fede pd scivola come un’ombra lungo gli interminabili corridoi delle Torri di Tange, sede dell’Emilia-Romagna e cuore pulsante del Partitone che fu. Quando manca poco alle 2 di notte, Stefano Bonaccini, 47 anni, modenese, renziano della seconda ora, non si è ancora fatto vedere, non è ancora ufficialmente il successore di Vasco Errani (anche se il suo vantaggio sul leghista Alan Fabbri è netto), ma un posto nella piccola grande storia della Regione ex rossa, suo malgrado, l’ha già conquistato: nemmeno nei peggiori incubi, il partito prendi-tutto che qui governa dal Dopoguerra avrebbe mai immaginato un simile tracollo di votanti. Addio zoccolo duro, addio mobilitazione di coscienze. Nella terra delle Feste dell’Unità, dell’associazionismo spinto, della passione con venature ancora dogmatiche, il militante si è fatto nebbia. «Vittoria mutilata» era il fantasma che aleggiava da giorni nei pensieri dei vertici pd. E così è stato. «Dove sono finiti gli Stakanov del voto?». Perfino Romano Prodi, che ne ha viste di ogni colore e che in mattinata aveva lanciato un appello alla partecipazione, a sera era basito: «È un dato preoccupante».
Era nell’aria la diserzione dalle urne. Ma non con queste proporzioni. Predestinato al successo, Bonaccini si è trovato a combattere contro un avversario subdolo e invisibile: la stanchezza-disgusto della gente per la politica. Altro che Alan Fabbri, il candidato leghista messo sotto tutela per tutta la campagna elettorale dal suo segretario Matteo Salvini. O i 5 Stelle, abilissimi nel fare harakiri a colpi di espulsioni e lotte intestine. Il nemico si nascondeva nelle viscere dello stesso Pd. E se è vero che hanno contribuito anche fattori come la mancanza di un traino nazionale, l’inchiesta sulle spese «allegre» con i 41 consiglieri regionali indagati e la generale consapevolezza che il Pd avrebbe vinto, è altrettanto vero che tutto ciò non basta a spiegare una simile Waterloo di partecipazione. Nel Pd già qualcuno si domanda quanto abbiano influito sul non voto la violenta polemica tra Renzi e Camusso sul versante lavoro. «La sofferenza è a sinistra» punta il dito il cuperliano Andrea De Maria. Bonaccini, fiutando l’aria, aveva provato a mettere un argine: «Ricordo a chi ha mal di pancia verso il governo — aveva detto — che stiamo votando per l’Emilia-Romagna, non per l’esecutivo nazionale». Arrivando poi ad azzardare un non facile equilibrismo in quel triangolo rovente composto da Landini, Camusso e Renzi: «Qui con i sindacati c’è una tradizione che ha dato buoni risultati, continueremo a cercare la concertazione». Per tutta risposta il leader della Fiom emiliana, Bruno Papignani, ha ordinato ai suoi il boicottaggio del candidato pd. E pure nella Cgil, qui una potenza con 800 mila iscritti, c’è stata una mezza sollevazione. «Chiunque vince non sarà totalmente legittimato» infierisce la candidata 5 Stelle Giulia Gibertoni. Il dopo Errani è iniziato e ha il sapore dell’anno zero.
Francesco Alberti


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