Catalogna, giorno decisivo: è il 9 novembre

by redazione | 9 Novembre 2014 12:45

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Il fati­dico giorno è arri­vato. Oggi, final­mente, sei milioni di cata­lani avranno la pos­si­bi­lità di met­tere in un’urna una scheda in cui potranno dire se vogliono che la Catalogna sia uno stato e se, in caso posi­tivo, que­sto stato debba essere indipendente.

Certo, non è il refe­ren­dum pro­messo un anno fa dal pre­si­dente del govern cata­lano Artur Mas, dal suo par­tito, la coa­li­zione demo­cri­stiana CiU, e da altri tre par­titi che si erano impe­gnati ad appog­giarlo su que­sto punto: Esquerra Repu­bli­cana, i rosso verdi di Icv e il par­tito movi­men­ti­sta anti­ca­pi­ta­li­sta, la Cup. Il par­la­mento di Madrid infatti si è rifiu­tato di chie­dere al governo cen­trale, l’unico con il potere di indire un refe­ren­dum secondo la costi­tu­zione spa­gnola, di dele­gare que­sto potere alla Gene­ra­li­tat cata­lana. Non è nep­pure la con­sulta non vin­co­lante pre­vi­sta da una appo­sita legge sulla par­te­ci­pa­zione cit­ta­dina appro­vata in set­tem­bre dal Par­la­ment di Bar­cel­lona a stra­grande mag­gio­ranza, impu­gnata davanti al Tri­bu­nale Costi­tu­zio­nale dal governo di Mariano Rajoy. E non è nean­che la “con­sul­tina” che il governo di Mas ha cer­cato di por­tare avanti nono­stante il divieto del Tri­bu­nale Costi­tu­zio­nale (che deve ancora espri­mersi sul merito del ricorso), facendo leva su volon­tari e senza nes­sun atto ammi­ni­stra­tivo, nes­suna lista di elet­tori e nes­sun edi­fi­cio sta­tale adi­bito a locale elet­to­rale. Anche que­sta con­sul­tina è stata bloc­cata da un secondo ricorso del governo centrale.

Che cosa potranno votare oggi i resi­denti in Catalogna con più di 16 anni? Non è del tutto chiaro. Quello che si sa è che ci sono 40mila volon­tari che garan­ti­ranno la for­ma­zione dei seggi elet­to­rali in quasi tutta la Cata­lo­gna in locali messi a dispo­si­zione dai comuni (il 96%) che appog­giano “il diritto a deci­dere” dei cata­lani. Il governo cata­lano aveva già pre­pa­rato urne e schede elet­to­rali (che in Spa­gna sono sem­plici fogli di carta pre­stam­pati). In que­sto caso, que­ste ultime com­pren­dono le due domande con lo spa­zio per mar­care Sì o No. Esi­ste una pagina web che indica dove cia­scuno deve recarsi a votare – dato che i seggi non sono i soliti – ma uffi­cial­mente non esi­ste una lista degli elet­tori aventi diritto per non infran­gere il divieto del Tri­bu­nale Costituzionale.

Quella di oggi è insomma poco più di una mani­fe­sta­zione poli­tica. La chiave starà nella par­te­ci­pa­zione, ed è chiaro che chi lo farà mar­cherà entrambe le caselle: Sì-Sì. Quelli del Sì (allo stato) ma No (all’indipendenza) pro­ba­bil­mente non si pren­de­ranno il disturbo di met­tere la scheda in urne infor­mali, per non par­lare di quelli (che secondo i son­daggi sareb­bero sul 20–30%) che rispon­de­reb­bero No anche alla prima domanda. Ci si aspetta un 30% di par­te­ci­pa­zione, che non è poco, ma non ser­virà per cam­biare le cose: l’indipendentismo viag­gia da sem­pre su quelle cifre.

Un merito i pro­mo­tori del pro­cesso che ha por­tato a que­sto punto ce l’hanno: per la prima volta tutti si stanno posi­zio­nando, e anche molti stra­nieri par­te­ci­pe­ranno a que­sto pro­cesso. Anche nella sini­stra, che con­di­vide, con alcune dif­fe­renze, il “diritto a deci­dere” e ha votato a favore della legge sulle con­sulte, uscire dalla pola­riz­za­zione è dif­fi­cile. Se la Cup è a favore dell’indipendenza per costruire uno stato anti­ca­pi­ta­li­sta, e i socia­li­sti cata­lani sono per la mag­gior parte a favore dell’unità, i rosso verdi di Icv mostrano più sfu­ma­ture: il depu­tato euro­peo Ernest Urta­sun voterà Si-No, men­tre la co-segretaria Dolors Camat voterà Sì-Sì. Invece Pode­mos, che non ha ancora una rap­pre­sen­ta­zione par­la­men­tare (ma viene data intorno al 20%) ha ini­ziato a costruire un discorso diverso: Sì alla pos­si­bi­lità di votare, ma non inte­ressa cosa si voterà, dato che i pro­blemi sociali ed eco­no­mici sono più pressanti.

Il governo di Madrid non molla la presa. Ieri il Fiscal del Estado (il pro­cu­ra­tore gene­rale, organo del mini­stero di giu­sti­zia) ven­ti­lava la pos­si­bi­lità che aprire i seggi possa essere un delitto (il che impli­che­rebbe una guar­dia civil e mos­sos – la poli­zia auto­no­mica – man­dati a chiu­dere i seggi). Il governo di Mas intanto ha fatto un passo indie­tro. Man­tiene la “respon­sa­bi­lità” poli­tica del pro­cesso, ma nei fatti sarà il Pacte per deci­dir, orga­ni­smo che riu­ni­sce molte asso­cia­zioni indi­pen­den­ti­ste, oltre ad alcuni par­titi, a organizzarlo.

Le aspet­ta­tive sono molto alte. Dal giorno in cui il Tri­bu­nale Costi­tu­zio­nale ha proi­bito anche la ver­sione decaf­fei­nata della con­sulta, ogni sera alle 22 le strade di Bar­cel­lona si fanno assor­danti per la pro­te­sta al suono di pen­tole e coper­chi dai bal­coni. Le strade sono piene di ban­diere cata­lane, car­telli e inviti a votare. Rag­giunto l’obiettivo, impen­sa­bile fino a un paio d’anni fa, di poter votare “qual­cosa”, sarà lunedì il giorno in cui si capirà cosa suc­cede. Mas ha detto che man­derà una let­tera a Rajoy. Ma anche la pol­trona del pre­si­dent è in bilico: se sarà costretto alle ele­zioni anti­ci­pate, il par­tito che potrebbe vin­cere, Esquerra, parla di dichia­ra­zione uni­la­te­rale di indipendenza.

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