Il boss: “Così lo 007 mi salvò dall’arresto”
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PALERMO . Sapeva che l’avrebbero arrestato una mattina di dicembre. Sapeva pure per quale reato, una bazzecola rispetto al suo ruolo di boss. Sapeva tante cose Sergio Rosario Flamia, rispettato padrino di Bagheria: fare il confidente dei servizi segreti gli tornava molto utile. Un giorno di fine 2008, il suo contatto lo chiamò al telefono per dire che sarebbe stato opportuno vedersi subito. Al solito posto, in campagna. Esordì: «Guarda, dovevano arrestare pure a te stanotte, io sono riuscito a spostare la carcerazione facendo volutamente un errore sulla data di nascita nell’ordinanza di custodia cautelare». Aggiunse: «Sicuramente, ti arresteranno fra tre, quattro giorni, ma stai tranquillo che noi ti aiutiamo, intanto ti stiamo facendo contestare un articolo che è una cosa poco grave rispetto all’associazione, l’articolo 418, assistenza agli associati ».
IL VERBALE IN PROCURA
Questo ha raccontato Sergio Flamia, un tempo confidente dell’Aisi oggi collaboratore di giustizia, ai magistrati del pool trattativa, che da qualche tempo indagano sui rapporti fra mafiosi e uomini dei Servizi. Flamia vuole allontanare il sospetto di essere un pentito costruito a tavolino per smontare il processo Stato-mafia, e allora ha deciso di raccontare i retroscena più segreti dei suoi incontri con gli 007: dalla ricompensa ufficiale (150 mila euro), per aver fornito nel 2008 informazioni sui nuovi boss di Palermo; ai favori e ai contatti, che ora rischiano di mettere nei guai alcuni esponenti dell’intelligence.
Flamia ha riempito 124 pagine davanti ai pubblici ministeri Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Francesca Mazzocco. E adesso le sue parole deflagrano nel cuore dell’indagine che sta facendo anche il Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui Servizi, non solo sul caso del boss confidente, ma anche sul cosiddetto protocollo “Farfalla”, l’accordo fra il vecchio Sisde e il Dap per carpire informazioni nei bracci del 41 bis. Qualche giorno fa, il sottosegretario con delega ai Servizi, Marco Minniti, ha assicurato che dalla documentazione in possesso dell’Aisi non risultano incontri in carcere fra gli agenti segreti e Flamia. Incontri che sarebbero illegittimi. Ma è lo stesso Flamia a smentire questa ricostruzione.
Repubblica ha potuto leggere il verbale del neo pentito, risale al 4 febbraio scorso, di recente è stato depositato al processo trattativa oltreché al processo d’appello per il generale Mario Mori (ex capo del Sisde). A pagina 57, il pm chiede: «Ha avuto contatti mentre era in carcere?». E Flamia spiega che durante la detenzione nel carcere di Pagliarelli, «lui», il suo tramite dal luglio 2008, «mandava a chiedere qualche informazione, ma a livello di scemenze». Spiega che «una-due volte» un agente dell’Aisi «si è presentato come avvocato, mi chiamavano in cella e io andavo. “Mi manda… ne sai parlare di questo discorso?”. Una delle cose che mi ha chiesto: voleva sapere cosa intendevano dire i Graviano con il discorso “il Milan è più forte della Juventus” o viceversa, che loro pensavano erano discorsi criptati». Non era proprio una «scemenza». All’epoca, si sospettava che dietro quei riferimenti calcistici nelle lettere dei capimafia al 41 bis potessero nascondersi ordini di attentati. Dice Flamia: «Io in cambio di queste informazioni non avevo chiesto niente se non il favore per il procedimento che avevo». È a questo punto che l’ex boss racconta delle rassicurazioni avute dagli 007. Sull’arresto ritardato rispetto al blitz “Perseo”, che il 16 luglio 2008 portò in carcere una novantina di persone. Sulla data di nascita sbagliata. E soprattutto sull’imputazione annacquata.
LA CONDANNA CASSATA
Non millantava l’agente segreto. Nel provvedimento di fermo, che i magistrati hanno compilato sulla base di un rapporto dei carabinieri, la data di nascita di Flamia è sbagliata: 4 febbraio 1958, anziché 21 febbraio 1963. E in quello stesso rapporto degli investigatori, pieno di intercettazioni, Flamia viene denunciato solo per «assistenza agli associati» e non per il più grave reato di «associazione mafiosa» che meritava tutto. Quattro anni dopo, questo trattamento di favore l’hanno stigmatizzato con parole di fuoco i giudici della corte d’appello di Palermo, che hanno annullato la condanna del boss Flamia a 3 anni e 4 mesi, rimandando gli atti in procura. Proprio perché quella contestazione di «assistenza agli associati» era una vera corbelleria. Come aveva fatto l’agente dei Servizi ad alleggerire la posizione del boss confidente? Il giorno che Flamia decide di collaborare con i pm manda il figlio dal suo contatto, «per vedere come la pensa lui e se mi può dare una mano d’aiuto — spiega ai pm — per me farglielo sapere è stata anche una questione di scrupolo, per avere la coscienza a posto che io non avrei danneggiato questa situazione dello Stato. E lui mi ha garantito che tutto quello che era stato fatto con me era stato fatto alla luce del sole. Quindi, disse a mio figlio, tutto quello che sa lo deve dire tranquillamente». Ma, ora, l’agente segreto che entrato in carcere spacciandosi per avvocato rischia l’accusa di falso ideologico.
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