Il boia dell’Isis decapita il quinto ostaggio, Peter Kassig

Il boia dell’Isis decapita il quinto ostaggio, Peter Kassig

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I macellai dello Stato Islamico (Isis) non si smentiscono e compiono l’ennesimo crimine. Con il consueto sistema della diffusione tramite social network, hanno reso noto ieri il video che parrebbe confermare la decapitazione di Peter Kassig, il cittadino americano 26enne ex militare in Iraq nel 2007 e poi operatore umanitario rapito nella Siria meridionale oltre 13 mesi fa.
Non pare siano serviti la sua conversione all’Islam, che tanti consideravano sincera, oltre agli appelli della famiglia e all’orrore suscitato nel mondo dalle precedenti decapitazioni. Se confermato, Kassig è il quinto ostaggio occidentale ad essere decapitato dal tempo dell’espansione armata dell’Isis dalla Siria nord-orientale all’Iraq centro-occidentale nel giugno scorso. Prima di lui era toccato a due giornalisti americani e altrettanti operatori umanitari britannici. Immediata la reazione di Barack Obama che ha parlato di «un atto di male puro».
Una domanda però scaturisce sull’onda degli ultimi eventi bellici e delle difficoltà incontrate dall’Isis nella regione: perché proprio ora? Cosa vogliono comunicare i tagliagole di Raqqa, Falluja e Mosul? Una prima risposta giunge proprio guardando il video. La componente più militante e aggressiva del «Califfato» intende ribadire la sua determinazione alla lotta, vuole smentire chi la dà sulla difensiva, cerca nuovi adepti e volontari dall’estero. In verità, le cose per loro non vanno troppo bene. Negli ultimi giorni hanno perso il controllo sulla grande raffineria di Beiji, a metà strada tra le province curde del Nord Iraq e Bagdad; a Kobane si sta svenando il fior fiore dei loro combattenti; per timore che le grandi tribù sunnite di Al Anbar passino dalla parte del governo centrale, nell’ultimo mese hanno massacrato centinaia e centinaia dei loro giovani, creando nuove inimicizie con quegli stessi iracheni tra cui cercano il consenso.
Ovvio che il capo di stato maggiore Usa Martin Dempsey, ieri in visita tra le nuove truppe americane arrivate a Bagdad, parli di un «Isis in crisi». Pure, al di là della scontata propaganda, è evidente che i raid della coalizione internazionale guidata da Washington hanno creato non poche difficoltà alle attività militari ed amministrative (non ultime quelle economiche) del «sistema Isis». Le recenti voci del ferimento del leader ideologico del movimento, l’autoproclamato Califfo Abu Bakr al Bagdadi, almeno una cosa ci dicono: i droni Usa controllano i loro cieli e condizionano i loro spostamenti.
Ecco allora il messaggio del video, semplice e brutale: ci siamo, combattiamo e vinceremo. Dura circa quindici minuti ed appare più elaborato dei precedenti. Nella prima parte viene mostrata senza censure la decapitazione di una quindicina di uomini in tuta blu che sono presentati come piloti e ufficiali dell’esercito di Bashar Assad. Le immagini sono crude, violentissime. I prigionieri camminano in fila, poi vengono fatti inginocchiare e decapitati uno a uno.
Quindi, un altro elemento di continuità: ricompare un uomo incappucciato e interamente vestito di nero che torna a minacciare il presidente americano brandendo il solito coltellaccio. Tutto lascia credere sia quello stesso «John il Jihadista» responsabile delle altre quattro decapitazioni. Accusa Barack Obama di essere «il cane di Roma» (il riferimento a Roma è sempre più frequente negli atti pubblici dell’Isis), promette che i suoi soldati faranno presto la stessa fine nella regione. Di Kassig dice poco, ricorda semplicemente che «aveva ucciso musulmani quando era stato in Iraq». Non ci sono immagini della sua decapitazione. Ma nella scena finale la sua testa insanguinata è ben visibile a terra vicino agli anfibi del suo boia.
Lorenzo Cremonesi


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