Articolo 18, il governo blinda la riforma

by redazione | 2 Novembre 2014 9:39

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ROMA Il Jobs act resta la priorità del presidente del Consiglio. Ed è senz’altro in cima alle preoccupazioni di Matteo Renzi. Più della legge di Stabilità, che comunque, nonostante qualche modifica, verrà approvata entro il 31 dicembre. Sul ddl delega di riforma del lavoro, invece, la partita è più complessa. C’è il rischio di una terza lettura al Senato, se la sinistra del Partito democratico, maggioritaria in commissione Lavoro alla Camera, riuscirà ad ottenere modifiche del testo uscito dal Senato col voto di fiducia.
Presidente della commissione è l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, esponente della stessa sinistra pd e relatore di maggioranza della riforma. Ma perché Renzi tiene così tanto al Jobs act? Perché è convinto, e non si stanca di farlo notare a chi fa finta di niente, che è sulla riforma del lavoro che sono puntati gli occhi degli investitori e delle istituzioni estere e dei mercati. Ai quali non si possono lanciare messaggi sbagliati.
Tanto più che, come ha sottolineato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, «è tornata la volatilità sui mercati finanziari europei». Gli input che il presidente del Consiglio ha dato al suo staff e al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, sono due: niente cedimenti sull’articolo 18 e fare presto. Questo non significa che modifiche siano impossibili.
I pontieri sono al lavoro. Dal vicesegretario del Pd Debora Serracchiani al capogruppo alla Camera Roberto Speranza. Ma un compromesso sarà possibile solo a tre condizioni: eventuali aggiustamenti non devono compromettere la semplificazione dei licenziamenti; ritocchi si possono fare solo se la sinistra pd non continua a far campagna contro la riforma; ogni modifica deve essere concordata con Ncd, per essere sicuri che poi il Senato si limiti a una rapidissima ratifica. Da domani la commissione Lavoro si occuperà della legge di Stabilità e solo tra una settimana riprenderà ad esaminare il Jobs act. Sul quale tutti i gruppi presenteranno emendamenti. Quelli più insidiosi verranno dalla sinistra pd. Che come minimo chiederà di recepire nel testo il documento approvato dalla direzione del Pd che garantisce il diritto al reintegro anche sui licenziamenti disciplinari (oltre che su quelli discriminatori). Renzi vorrebbe evitare. Secondo lui basta l’impegno di Poletti, già dichiarato in Senato, che si provvederà con i decreti attuativi della delega. Probabilmente Damiano non presenterà emendamenti. Ma come relatore dovrà comunque esprimersi su quelli in votazione.
Al fine di evitare incidenti lo stesso relatore Poletti e i consiglieri di Renzi sono in contatto. Ma la soluzione non è stata ancora trovata. Molto dipenderà da cosa accadrà sulla legge di Stabilità. Osserva Damiano: «Stabilità e Jobs act sono collegati ed entrambi vanno modificati. Nella manovra vanno inserite maggiori risorse per gli ammortizzatori sociali e va tolto l’aumento del prelievo fiscale sui fondi pensione al 20%. Nel Jobs act bisogna almeno garantire il diritto al reintegro sui licenziamenti disciplinari e togliere le norme sul demansionamento, sui controlli a distanza e sull’abolizione della cassa integrazione per cessazione di attività».
Insomma: se sulla Stabilità ci saranno più soldi sugli ammortizzatori, come chiede per la sinistra pd anche Alfredo D’Attorre, il clima potrebbe migliorare e favorire un compromesso sul lavoro. Ma i margini sono stretti. Piuttosto che dare l’idea di aver sbracato sul Jobs act Renzi chiederà la fiducia anche alla Camera.
Ieri il presidente del Consiglio ha incassato un’indagine della Cna (artigiani) dove un’impresa su due si dice convinta che questo governo vincerà la battaglia contro la burocrazia e un sondaggio della Confesercenti dove invece si avverte che solo 2 lavoratori su 10 sarebbero interessati al Tfr in busta paga. Nei prossimi giorni Renzi visiterà più di un luogo di lavoro, da Brescia a Savona a Trieste fino a Taranto. E nella seconda metà di novembre convocherà di nuovo la direzione del Pd.
Enrico Marro
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