Completa tracciabilità elettronica significa «abbandono di alcuni strumenti risultati inefficaci, come i misuratori e le ricevute fiscali», dice chiaro e tondo la Orlandi. E i costi di adeguamento al nuovo sistema? A carico dello Stato, fa in- tendere. Sottolineando pure i «minori oneri per le imprese». Laddove non saranno più necessari né registri dove annotare fatture e scontrini né commercialisti per denunciarli a fine anno. Perché il Fisco conoscerà per filo e per segno entrate ed uscite. E chissà, potrà spedire financo ai piccoli imprenditori, al parrucchiere e al verduraio, la dichiarazione precompilata. Un grande fratello fiscale buono, imparziale, efficiente. Così sembrerebbe. In cambio, «il progressivo abbandono di controlli massivi sul territorio da parte dell’amministrazione finanziaria». Funzionerà, nel paese dell’evasione da 120 miliardi all’anno e delle liti fiscali per un cavillo?
La strategia è chiara, quantomeno. E ricomprende pure «un’evoluzione delle banche dati», grazie «al miglioramento delle modalità di incrocio». Così da utilizzare la «mole di informazioni già disponibili» (spese, redditi, assicurazioni, investimenti), destinate a salire quando il cartaceo sarà del tutto soppiantato dal digitale, per aprire la finestra dei redditi anche al contribuente. Un doppio affaccio, una «vista» doppia, la chiamano all’Agenzia delle entrate. Un modo per ogni italiano di accedere con una password all’intero estratto conto fiscale, capire quanto di noi il Fisco già sa, evitare di fare il furbo e pagare le giuste tasse. Magari auto-correggendo quanto non versato. In questo campo, una possibilità in più è inserita nella legge di stabilità per il 2015. Il ravvedimento “lungo”, ovvero cinque anni di tempo per correggere gli errori anche in flagranza di controlli, anziché entro la presentazione della dichiarazione dell’anno successivo, come ora. E le sanzioni? Ridotte e crescenti col passare del tempo.