Sono state ore di dibattiti accesi, altarini scoperti e rotture importanti. Fin dal mattino, quando dal sito Bep?pe?grillo?.it viene istruita la procedura d’epurazione. «Chi non restituisce parte del proprio stipendio come tutti gli altri, non solo viola il codice di comportamento dei cittadini parlamentari del Movimento 5 Stelle, ma impedisce a giovani disoccupati di avere ulteriori opportunità di lavoro oltre a tradire un patto con gli elettori», recita l’accusa.
Sono parole pesanti, che mettono in relazione il rito mensile della rinuncia ai soldi con le difficoltà di chi è colpito dalla crisi economica. Sotto tiro ci sono Paola Pinna, cagliaritana eletta nelle liste della Camera, e Massimo Artini, deputato toscano di Figline Valdarno. Al loro fianco si schierano attivisti e (cosa nuova), altri deputati: rivendicano almeno il rispetto del regolamento, che prevede un passaggio nelle riunioni dei gruppi parlamentari.
Tanto più che la questione degli stipendi, nonostante l’assegno gigante sventolato a favor di obiettivo, è tutt’altro che lineare. Funziona così: un parlamentare guadagna all’incirca 12 mila euro netti. Un anno fa, dopo settimane di discussioni e incertezze, pacchi di scontrini e annunci via social network, i grillini hanno deciso di rinunciare a una cifra che va dai 3500 ai 7000 euro, a seconda delle spese rendicontate. Ne risulta che restituirebbero in media circa 5 mila euro al mese. Sono cifre che colpiscono l’immaginazione del cittadino medio ma che assumono una valenza più simbolica che fattuale. Devono essersene accorti gli stessi vertici del M5S, che non hanno posto grandi vincoli per gli eletti al Parlamento europeo. Artini e Pinna, i due accusati, avevano messo in discussione il sistema approntato dai vertici del M5S. Il primo, di professione informatico, aveva provato a costruire un portale alternativo. La seconda aveva scelto di versare il suo mensile alla Caritas invece che usare il sito — da molti definito “opaco” — Tiren?di?conto?.it, che poi avrebbe l’incarico di girare i soldi in un apposito fondo «per il credito alla piccola e media impresa».
Fino ad oggi le espulsioni erano state altrettanto arbitrarie, con «la Rete» degli iscritti al blog convocata tutt’al più a ratificare la scelta (come avvenuto questa volta: 19 mila a favore dell’espulsione contro gli 8 mila contrari). Via di mezzo tra reality show e carnevale staliniano, il rito della gogna digitale forniva agli attivisti collegati col computer l’ebrezza di poter partecipare. Ma a pochi giorni dal flop elettorale delle regionali, qualcosa si è rotto nella macchina mediatica. Il processo 2.0 arriva dopo giorni di proclami grotteschi. Dapprima, Grillo ha negato la battuta d’arresto dell’ultima tornata elettorale. Solo due giorni fa, poi, il blog e organo del M5S ha pubblicato un testo per affermare che Benito Mussolini non fu responsabile dell’omicidio Matteotti. Era anche comparso un attacco al sindaco pentastellato di Parma, Federico Pizzarotti, che riproponeva un testo vecchio di un anno. La tempistica faceva sospettare che l’aggressione fosse quantomeno pretestuosa, utile a screditare l’assemblea del 7 dicembre prossimo indetta dal primo cittadino per incontrare eletti ed attivisti.
Gli organizzatori puntano a costruire un contrappeso al potere assoluto del fantomatico (e abbastanza misterioso) «staff» milanese della Casaleggio Associati che gestisce le infrastrutture informatiche, vaglia candidature e assume dipendenti a nome del «Movimento». «Voglio parlare soprattutto agli altri eletti, per far capire a chi ci critica nel Movimento che è facile parlare senza sporcarsi le mani stando nelle istituzioni», ha affermato Pizzarotti polemizzando coi vertici dello «staff» grillino e al tempo stesso prendendo le distanza dalla retorica anti-Casta del M5S. Il fatto è che Grillo non ha più il monopolio dello schema «né di destra né di sinistra» che vuole la «gente» contro «il palazzo»: quella retorica viene usata con toni e parole differenti dai due Matteo emergenti: il rottamatore Renzi e il lepenista Matteo Salvini. E i tanti che si sono illusi di usare il Movimento «da sinistra» sono finiti in un incubo totalitario o includente.
Da qui la crisi e l’emorragia di consensi. Che probabilmente non sarà arginata da qualche epurazione.