La Turchia smentisce gli Usa: «Non abbiamo dato le basi »

La Turchia smentisce gli Usa: «Non abbiamo dato le basi »

Loading

Basi sì, basi no. Il bal­letto turco – den­tro e fuori la coa­li­zione – non dà tre­gua al pre­si­dente Obama: ieri, dopo aver lasciato che la Casa Bianca annun­ciasse il sì turco all’utilizzo delle basi mili­tari a sud del paese (com­presa Incir­lik) per lan­ciare raid in Siria, Ankara ha smen­tito l’alleato. La con­ces­sione delle basi è una noti­zia non fon­data: «Non c’è alcun accordo con gli Stati uniti su Incir­lik – ha detto un fun­zio­na­rio gover­na­tivo – I nego­ziati sono in corso» sulla base delle con­di­zioni det­tate dalla Turchia.

Insomma, l’adesione alla coa­li­zione non costringe Erdo­gan a com­piere certi passi, soprat­tutto senza deter­mi­nate ras­si­cu­ra­zioni: impe­gno a far cadere Assad, crea­zione di una zona cusci­netto dove infi­lare i rifu­giati siriani e adde­strare le oppo­si­zioni a Dama­sco, crea­zione di una no-fly zone appli­ca­bile all’aviazione siriana.

Il duro colpo arriva men­tre a Washing­ton si incon­tra­vano i coman­danti mili­tari dei paesi mem­bri del fronte anti-Isis per due giorni di discus­sioni sulla stra­te­gia da ride­fi­nire. Il capo di Stato mag­giore Usa, il gene­rale Demp­sey, è tor­nato a sfi­dare il suo pre­si­dente ripe­tendo in un’intervista tv la neces­sità di inviare truppe di terra: «Il mio istinto mi dice che sarà neces­sa­ria una diversa forma di assi­stenza vista la com­ples­sità del con­flitto. Mosul potrebbe essere la bat­ta­glia deci­siva nella cam­pa­gna via terra in futuro», ha detto Dempsey.

E pro­prio sul campo pro­se­gue vio­lento il con­flitto. Cuore degli scon­tri resta Kobane, città curdo-siriana al con­fine con la Tur­chia. Ieri a meno di un chi­lo­me­tro dalla fron­tiera si sono con­trap­po­sti i fucili auto­ma­tici curdi con­tro i mor­tai isla­mi­sti. Un jiha­di­sta si è fatto sal­tare in aria a bordo di un camion carico di esplo­sivo nella parte set­ten­trio­nale di Kobane, a pochis­sima distanza dal ter­ri­to­rio turco. Da parte loro i com­bat­tenti curdi, a corto di armi e muni­zioni, sono riu­sciti a riav­vi­ci­narsi al quar­tier gene­rale delle forze mili­tari e dell’amministrazione civile, nel cen­tro città, occu­pato tre giorni fa dall’Isis.

In Iraq gli Usa sca­ri­cano tutto su Bagh­dad: «Alla fine sono gli ira­cheni a doversi ripren­dere l’Iraq – ha detto dome­nica al Cairo, alla con­fe­renza dei dona­tori per Gaza, il segre­ta­rio di Stato Kerry – Sono gli ira­cheni che ad Anbar devono com­bat­tere per Anbar». Ma tra il dire e il fare, c’è di mezzo la debo­lezza dell’esercito ira­cheno che ieri è stato costretto dall’avanzata isla­mi­sta ad indie­treg­giare pro­prio nella pro­vin­cia di Anbar, al con­fine con la Siria. Un’altra base mili­tare, una delle poche rima­ste in mano gover­na­tiva, è stata abban­do­nata dalle truppe di Bagh­dad nella città di Heet, lungo l’Eufrate, lasciando la comu­nità al totale con­trollo isla­mi­sta: «Le forze ira­chene hanno eva­cuato il campo di Heet dome­nica notte su ordine del comando mili­tare – ha fatto sapere un fun­zio­na­rio della poli­zia di Ramadi, capo­luogo pro­vin­ciale di Anbar – I nostri lea­der mili­tari hanno sta­bi­lito fosse meglio non lasciare le forze espo­ste agli attac­chi dell’Isis e inviarle a difesa della base aerea di Asad. Heet è ora al 100% in mano islamista».

Una scon­fitta cocente (soprat­tutto alla luce dell’avvicinamento dell’Isis alla capi­tale Bagh­dad) men­tre il paese veniva scosso dome­nica da un’altra ondata di atten­tati: tre auto­bombe hanno ucciso 58 per­sone, per lo più curdi che si sta­vano volon­ta­ria­mente arruo­lando nell’esercito. Un primo attacco è stato com­piuto con­tro una base della sicu­rezza curda a Qara Tap­pah, nella pro­vin­cia occu­pata di Diyala (30 morti e 90 feriti); due bombe sono invece esplose a Baquba e una terza ha col­pito un con­vo­glio mili­tare ad Anbar, vicino Ramadi, ucci­dendo tra gli altri il capo della poli­zia pro­vin­ciale. Ieri pome­rig­gio nel mirino è tor­nata anche Bagh­dad: tea­tro i quar­tieri sciiti di Sadr City e Kad­hi­miyah: almeno 26 i morti nelle due esplosioni.

La capi­tale è quasi del tutto cir­con­data. Secondo fonti gover­na­tive, sareb­bero 10mila gli isla­mi­sti dell’Isis intorno Bagh­dad, pronti ad attac­care. Sabah al-Karhout, pre­si­dente del con­si­glio di Anbar, fa sapere che i mili­ziani stanno arri­vando da Abu Ghraib, a meno di 15 km dalla capi­tale, a difesa della quale stanno per ora 60mila sol­dati iracheni.



Related Articles

Egitto anno 1: passi avanti e sfide aperte

Loading

Egitto Primavera Araba

Proprio in questi giorni, un anno fa, la piazza del Cairo ribolliva. Erano gli ultimi fotogrammi di un regime trentennale, quello di Mubarak, destinato a cadere in poco più di un mese. L’Egitto voltava pagina. E, si sa, tutto quello che succede nella terra dei faraoni, di ieri e di oggi, finisce per avere un’influenza decisiva su tutti gli equilibri del mondo arabo; le svolte culturali e politiche dell’Egitto segnano poi inevitabilmente la traiettoria su cui si muoveranno gli altri paesi medio orientali.

In Europa monta l’onda nera delle nazioni

Loading

La cosiddetta Europa delle nazioni, reclamata dalle destre di tutto il continente, avrebbe ben poco da aggiungere al peso che già oggi gli stati nazionali esercitano sull’azione e soprattutto sull’inazione delle politiche europee

Cile, Pià±era non convince Onu e studenti

Loading

«Una causa nobile, grande, bella». Nel discorso pronunciato all’Onu giovedì, il presidente del Cile, il miliardario Sebastian Pià±era, ha definito così la protesta studentesca che investe il suo paese da maggio.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment