Turchia, morti e caos in 30 città La rabbia dei curdi contro Erdogan
by redazione | 9 Ottobre 2014 19:58
SALINURFA (Turchia sud-orientale) In Turchia torna pesante lo spettro dello scontro interno con la minoranza curda. La ventina di morti tra i dimostranti negli scontri con la polizia in una trentina di città nelle ultime 24 ore, l’imposizione del coprifuoco duro come non si vedeva da anni, i posti di blocco, le forze dell’ordine con maschere antigas e scudi, riportano il Paese alle memorie grevi della guerra civile strisciante.
Negli ultimi tempi il boom economico e il dialogo con il Pkk (il «Partito dei Lavoratori Curdo», il movimento indipendentista accusato da Ankara di «terrorismo») voluto dall’ex premier, e ora presidente, Recep Tayyip Erdogan, avevano quasi fatto dimenticare che, sotto la calma apparente del nuovo benessere, covano tensioni mai sopite. Il numero non è ufficiale, ma la stampa indipendente locale segnala che oltre 40.000 curdi hanno perso la vita nel braccio di ferro con le autorità negli ultimi trent’anni.
Adesso la rabbia dei curdi (sono circa 15 milioni in Turchia) è alimentata dalla passività dimostrata da governo e militari di fronte all’agonia di Kobane, la cittadina curdo-siriana cinta d’assedio dallo Stato islamico da metà settembre.
I manifestanti ieri mostravano le fotografie dei carri armati turchi totalmente passivi, fermi sulla frontiera a solo poche centinaia di metri dalle milizie jihadiste. Non solo i soldati turchi non fanno nulla per combattere i tagliagole sunniti, ma soprattutto bloccano i volontari del Pkk, che vorrebbero andare a combattere con i «fratelli» siriani. Le Ypg, le «unità di autodifesa curde» in Siria, sono strette alleate del Pkk. «Ankara difende lo Stato islamico», accusano i curdi. A loro risponde lo stesso Erdogan, che equipara il pericolo costituito dallo Stato islamico a quello del Pkk. La tensione è tale che lo stesso Abdullah Öcalan, il celebre leader del Pkk in carcere dal 1999, dalla cella fa sapere che qualsiasi dialogo con il governo avrà fine se entro metà ottobre Ankara non avrà ordinato ai soldati di difendere Kobane. La situazione nella cittadina resta disperata. Negli ultimi tre giorni l’intensificazione dei raid Usa ha rallentato, ma non fermato, l’avanzata dei jihadisti, e anche il Pentagono riconosce che non basteranno a «salvare» Kobane.
Lorenzo Cremonesi