TTIP. Bis-trattati

TTIP. Bis-trattati

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La mag­giore parte degli studi sul Ttip, com­mis­sio­nati per­lo­più dai governi e dalla Com­mis­sione euro­pea, pre­sen­tano il trat­tato di libero com­mer­cio Usa-Ue come una manna dal cielo per le asfit­ti­che eco­no­mie europee.

Secondo il Cen­tre for Eco­no­mic Policy Research di Lon­dra (Cepr), il Ttip «rega­le­rebbe» 545 euro a ogni fami­glia euro­pea. E poi: più cre­scita, più espor­ta­zioni, più occu­pa­zione, meno «lacci e lacciuoli».

Il mes­sag­gio è chiaro: col Ttip ci lasce­remmo final­mente la crisi alle spalle.
Dia­me­tral­mente oppo­sta, invece, è l’analisi del più recente stu­dio finora rea­liz­zato sul Ttip, a cura dell’Öfse, uno dei più auto­re­voli cen­tri di ricerca austriaci.

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Secondo il rap­porto dell’istituto vien­nese, tutti gli studi pro-Ttip pre­sen­tano gravi omis­sioni ed errori meto­do­lo­gici che enfa­tiz­zano i pre­sunti bene­fici dell’accordo, igno­ran­done invece i rischi. Ne abbiamo par­lato con Wer­ner Raza, diret­tore dell’Öfse.

Può rias­su­merci in breve le con­clu­sioni dello stu­dio sull’impatto del Ttip che avete rea­liz­zato per l’Öfse? Sono in linea con quelle dei vari studi «ufficiali»?

Per quanto riguarda i pre­sunti bene­fici eco­no­mici dell’accordo, c’è da dire che anche gli stu­dio pro-Ttip pre­ve­dono un impatto molto esi­guo in ter­mini di Pil e cre­scita: circa l’1% nel corso di un periodo di 10–20 anni.

La nostra ana­lisi con­ferma que­ste stime. Quindi non sarà di certo il Ttip a por­tare l’Ue fuori dalla crisi. Il punto impor­tante da capire, però, è che le bar­riere tarif­fa­rie tra Ue ed Usa sono già molto basse.

Dun­que que­sto «gua­da­gno», già misero di suo, sarà otte­nuto per­lo­più per mezzo dell’eliminazione delle cosid­dette «bar­riere non tarif­fa­rie»: sarebbe a dire quell’insieme di norme, regole e stan­dard che riguar­dano la salute pub­blica, la pro­te­zione ambien­tale e sociale, i diritti dei con­su­ma­tori, ecc.

Que­sto avrebbe un costo sociale molto alto. E comun­que, anche da un punto di vista eco­no­mico ed occu­pa­zio­nale, i costi saranno rile­vanti, soprat­tutto in ter­mini di ridu­zione delle entrate pub­bli­che: con­si­de­rando che l’accordo por­terà quasi sicu­ra­mente all’eliminazione di quelle poche bar­riere tarif­fa­rie rima­nenti, il bilan­cio euro­peo – già ridotto allo stremo – si vedrà pri­vato di altri 2–4 miliardi di euro l’anno, che saranno pro­ba­bil­mente com­pen­sati da ulte­riori tagli alle spese. In altre parole: mag­giore auste­rità. Infine, un punto total­mente sot­ta­ciuto dagli altri studi è l’impatto nega­tivo che il Ttip, pri­vi­le­giando gli scambi Usa-Ue, avrà sulle espor­ta­zioni dei paesi meni svi­lup­pati e sul com­mer­cio intra-europeo, con gravi con­se­guenze per il pro­cesso di inte­gra­zione europeo.

Quali sono gli aspetti più pro­ble­ma­tici del Ttip dal suo punto di vista?

L’aspetto più cri­tico dell’accordo è senz’altro l’Isds, il mec­ca­ni­smo di riso­lu­zione dei con­ten­ziosi tra inve­sti­tori e stati, che per­mette agli inve­sti­tori pri­vati di tra­sci­nare i governi di fronte a un tri­bu­nale sovra­na­zio­nale se riten­gono che una certa legge nuoc­cia ai loro inte­ressi. L’Isds equi­vale di fatto a una pri­va­tiz­za­zione del diritto inter­na­zio­nale e rap­pre­senta un vero e pro­prio affronto alla demo­cra­zia. La sto­ria dimo­stra che que­sti tri­bu­nali ten­dono a pri­vi­le­giare gli inte­ressi degli inve­sti­tori rispetto a quelli della col­let­ti­vità. Con­si­de­rando che le imprese euro­pee e sta­tu­ni­tensi sono quelle che ricor­rono con mag­giore assi­duità a que­sti mec­ca­ni­smi, lad­dove esi­stono già (per esem­pio negli accordi di libero com­mer­cio con i paesi in via di svi­luppo), l’abilità dei governi Ue di varare leggi in difesa dell’interesse pub­blico ver­rebbe seria­mente limi­tata. Anche se il governo austriaco e tede­sco hanno recen­te­mente espresso delle riserve nei con­fronti dell’Isds, la Com­mis­sione ha riba­dito di con­si­de­rarlo un punto chiave dell’accordo. L’altro aspetto pro­ble­ma­tico del Ttip è quella che viene chia­mata «coo­pe­ra­zione nor­ma­tiva», attra­verso cui la discus­sione sulle norme rego­la­to­rie ver­rebbe tra­sfe­rita dalle isti­tu­zione demo­cra­ti­che ad una serie di organi tec­no­cra­tici, offrendo alle grandi imprese, su entrambe le sponde dell’Atlantico, un’enorme influenza sul pro­ce­di­mento legislativo.

Il vostro stu­dio mette in luce un altro aspetto fon­da­men­tale, ossia che par­lare di un impatto posi­tivo per l’Europa nel suo insieme in ter­mini di cre­scita ed aumento delle espor­ta­zioni è fuor­viante, poi­ché saranno soprat­tutto alcuni paesi a bene­fi­ciare dell’accordo, a sca­pito di altri.

Asso­lu­ta­mente. In gene­rale è pre­ve­di­bile che il Ttip bene­fi­cerà soprat­tutto le eco­no­mie export-oriented spe­cia­liz­zate in pro­dotti ad alta qua­lità e ad alta inten­sità di capi­tale, come la Ger­ma­nia, l’Olanda e la Sve­zia, e quelle che pos­sie­dono set­tori ter­ziari alta­mente inter­na­zio­na­liz­zati, come il Regno Unito, a sca­pito di paesi spe­cia­liz­zati in indu­strie ad alta inten­sità ener­ge­tica e di mano­do­pera, e nella pro­du­zione agri­cola. È per que­sto che paesi come la Ger­ma­nia e il Regno Unito sono tra i più attivi pro­pu­gna­tori dell’accordo. Detto que­sto, la spinta prin­ci­pale a favore del Ttip non viene tanto dai governi quanto dalle grandi imprese trans­na­zio­nali, sia in Euro­pea che negli Stati Uniti.

Che legame c’è tra il Ttip è le poli­ti­che di auste­rità e di sva­lu­ta­zione interna attual­mente impo­ste dall’establishment euro­peo ai paesi dell’eurozona, e in par­ti­co­lare a quelli della peri­fe­ria (vedi l’Italia)?

Un legame molto stretto: il Ttip è un tas­sello fon­da­men­tale della stra­te­gia «Glo­bal Europe» della Com­mis­sione euro­pea, che sot­to­li­nea la neces­sità di ren­dere l’Ue più «com­pe­ti­tiva« sui mer­cati inter­na­zio­nali e punta ad imporre a tutta l’Unione, e in par­ti­co­lare all’eurozona, un modello stret­ta­mente neo­mer­can­ti­li­sta in cui la cre­scita è trai­nata in primo luogo dalle espor­ta­zioni (sulla base del modello tede­sco). Va da sé che con­si­dero que­sta approc­cio fon­da­men­tal­mente sba­gliato. L’Ue dovrebbe cer­care di sti­mo­lare la domanda interna per mezzo di inve­sti­menti pub­blici mirati a faci­li­tare la tra­sfor­ma­zione socio-ecologica delle nostre eco­no­mie e di poli­ti­che redi­stri­bu­tive che con­tra­stino il pro­gres­sivo impo­ve­ri­mento della popo­la­zione, soprat­tutto nei paesi del Sud e dell’Est Europa.

Molti hanno teo­riz­zato che l’obiettivo reale delle attuali poli­ti­che di auste­rità sia quello di sman­tel­lare defi­ni­ti­va­mente le ultime vesti­gia del cosid­detto “modello sociale euro­peo”. Lei è d’accordo, e se sì, il Ttip può con­si­de­rarsi parte inte­grante di que­sta strategia?

Sì, mi pare un’analisi sostan­zial­mente con­forme alla realtà. E dun­que, nella misura in cui il modello neo­mer­can­ti­li­sta è stret­ta­mente legato alla fles­si­bi­liz­za­zione e alla pre­ca­riz­za­zione dei mer­cati del lavoro, alla detas­sa­zione delle imprese e alla com­pres­sione dei salari in quanto ele­menti chiave delle cosid­dette «riforme strut­tu­rali», direi che c’è un chiaro legame tra il Ttip e lo sman­tel­la­mento dello stato sociale a cui abbiamo assi­stito in que­sti anni. Il Ttip favo­ri­sce e acui­sce que­sto pro­cesso alte­rando ulte­rior­mente l’equilibrio di potere tra le forze sociali e le grandi imprese, ovvia­mente a favore di que­ste ultime, e isti­tu­zio­na­liz­zando defi­ni­ti­va­mente le riforme neo­li­be­ri­ste intro­dotte negli ultimi vent’anni, soprat­tutto in mate­ria di pri­va­tiz­za­zione dei ser­vizi pubblici.



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