Santoro e Travaglio costretti alla pace
ROMA . È probabile che Santoro e Travaglio si trovino insieme nello studio di Servizio Pubblico anche giovedì prossimo. È invece impossibile che tra i due scoppi la pace. Da molti mesi la loro è una convivenza forzata, fatta più di silenzi che di dialogo. Lavorano insieme, vivono in una realtà di complicati intrecci societari, ma non si amano più come prima. A malapena si sopportano. Dunque, la plateale lite andata in onda l’altra sera, con Santoro che invita Travaglio a non insultare gli ospiti e il giornalista del Fatto che prende cappello e abbandona lo studio si ricomporrà forse per ragioni di reciproco interesse, ma il rapporto è logorato, finito.
Lo si capisce ascoltandoli mentre si negano alla richiesta di un’intervista. Battute lasciate sospese e nessuna voglia di minimizzare. Santoro preferisce pubblicare sul sito del programma una nota che è un appello a proseguire la collaborazione: «Per quanto mi riguarda, non ho problemi a continuare il nostro rapporto nel rispetto della linea editoriale che prevede attenzione e ascolto nei confronti di tutti». Poi detta le condizioni: il conduttore è lui e decide lui la scaletta, l’argomento, il rispetto che si deve agli ospiti. Travaglio, con cortesia, dice che deve riflettere «serenamente» sul futuro. E per il momento tace. A meno che oggi sul Fatto non offra la sua versione. Di sicuro sul giornale comparirà una cronaca di quanto accaduto. Se tutto fosse finito 48 ore fa davanti al pubblico a casa (non più numeroso come un tempo), amici come prima, scrive Santoro. Quasi amici. «Per lui ci sarà sempre una porta aperta. Marco è un giornalista eccellente e il suo giornale è essenziale per il pluralismo». Il giornale, ovvero il Fatto, e Beppe Grillo sono all’origine del contrasto, che risale ormai a parecchio tempo fa. Già la scorsa edizione aveva evidenziato degli attriti. Perché Santoro apprezza le doti del comico genovese, ma non il populismo, non la tendenza dell’M5s a seguire gli umori violenti dei social network. Travaglio invece considera il Movimento 5 stelle un fenomeno non passeggero e fondamentale per svelare e risolvere la crisi italiana. Michele poi rimprovera a Marco certi toni inquisitori che allontanano gli ospiti dal programma e per questo, dicono, lo spazio di Travaglio è finito in fondo alla trasmissione. Anche Travaglio però è scontento: si lamenta per come Santoro prepara le puntate, per come il talk show viene confezionato.
Questo dissenso è già emerso in una recente polemica tra il Fatto e Santoro. Il quotidiano ha svolto un’inchiesta per evidenziare la crisi di audience dei dibattiti televisivi. Il conduttore ha risposto in video ricordando che i giornali non godono certo di una salute migliore. Compreso quello di Padellaro e Travaglio. Eppure Servizio pubblico e il Fatto sono una join venture, legati a doppio filo anche negli assetti societari. Il 30 per cento di Zerostudio, la casa di produzione che confeziona la trasmissione e vende poi il pacchetto a Urbano Cairo, editore di La7, è di proprietà del Fatto.
Addirittura gli amministratori delegati delle due aziende sono la stessa persona: Cinzia Monteverdi. Monteverdi è vicinissima a Travaglio, ma allo stesso tempo è molto amica di Santoro. Per dire: la manager vive a Roma in affitto in una casa del conduttore.
Grazie anche a Servizio pubblico, il Fatto divide degli utili cospicui a fine anno. Travaglio possiede circa l’8 per cento delle quote del giornale e siede nel consiglio di amministrazione. Le ragioni del capitalismo dunque suggeriscono di continuare insieme, di non sciogliere la coppia più di successo nella storia dei talk. Le ragioni del cuore e della testa invece porterebbero a una separazione immediata, senza tanti convenevoli. Nonostante una storia comune lunghissima, nonostante la lunga e vittoriosa battaglia contro l’editto bulgaro di Berlusconi che escluse Santoro e Travaglio dalla Rai per quattro anni prima del ritorno su Raidue con Annozero. E con ascolti stellari.
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