La fine della presidenza di Mujica
Domenica 26 ottobre si terranno le elezioni politiche in Uruguay, un piccolo paese sudamericano che confina con Brasile e Argentina. Negli ultimi anni, oltre che per una fortissima nazionale di calcio, l’Uruguay ha fatto parlare di sé per il suo presidente, il 79enne José Mujica – che fra le altre cose al Post definimmo “il più elegante capo di stato del mondo”. Mujica, che è stato eletto per la prima volta nel 2010 con il Movimento di Partecipazione Popolare (il più grosso partito di sinistra del paese), è diventato celebre sia per le sue importanti riforme politiche marcatamente di sinistra, sia per la sua figura distinta ma bonaria, oltre che di tendenza decisamente pauperistica: durante il suo mandato, Mujica ha donato il 90 per cento del suo stipendio mensile di 12mila dollari ad associazioni benefiche e si è rifiutato di vivere nel palazzo presidenziale, rimanendo nella fattoria di sua proprietà alla periferia di Montevideo.
Oggi, 25 sabato ottobre, sarà l’ultimo giorno da presidente di Mujica: la costituzione dell’Uruguay non prevede che la carica possa essere mantenuta per due mandati consecutivi, e al termine del prossimo mandato Mujica avrà 84 anni: un’età che renderà difficile una sua eventuale candidatura.
Da capo
Mujica è nato a Montevideo, in Uruguay, il 20 maggio 1935. Sin dagli anni Sessanta fece parte del Movimento di liberazione nazionale dei Tupamaros, un’organizzazione radicale ispirata al marxismo e che si rifaceva agli obiettivi della Rivoluzione cubana. Sotto la dittatura di Jorge Pacheco Areco, alla fine degli anni Sessanta, il movimento si trasformò in un’organizzazione di guerriglia urbana che praticava sequestri e omicidi. Mujica rimase ferito sei volte in scontri armati. Fu arrestato quattro volte, ed evase dal carcere due volte. Nel 1972 fu arrestato definitivamente e imprigionato: fu liberato solo nel 1985 grazie all’amnistia generale concessa dalle forze democratiche – che nel frattempo erano prevalse – e rivolta a tutte le persone incarcerate dal regime.
Da allora Mujica ha trascorso il tempo nella sua fattoria a Rincón del Cerro, vicino alla capitale Montevideo, e si è impegnato nella fondazione del Movimento di partecipazione popolare, che fa parte del partito di centro-sinistra Frente Amplio e che è stato decisivo per l’elezione alla presidenza del Paese del socialista Tabaré Vázquez nel 2005. Nel 1999 Mujica è entrato nella politica istituzionale: è stato eletto deputato e poi senatore, e tra il 2005 e il 2008 è stato ministro per l’Allevamento, l’agricoltura e la pesca. A novembre 2009 è stato eletto presidente con quasi il 53 per cento dei voti, battendo il candidato del Partito Nazionale di centrodestra Luis Alberto Lacalle. È entrato in carica nel marzo del 2010.
L’eredità politica di Mujica è legata a tre importanti riforme approvate in Uruguay, molto apprezzate dai politici di sinistra del resto del mondo. La depenalizzazione dell’aborto, l’introduzione dei matrimoni gay e la liberalizzazione del consumo di marijuana (sebbene questa terza riforma entrerà in vigore solo nel 2015).
La depenalizzazione dell’aborto è stata approvata nell’ottobre del 2012 e benché sia stata criticata da alcune associazioni femministe – la richiesta della donna dev’essere valutata da una commissione composta da un ginecologo, un assistente sociale e uno psicologo che non hanno comunque il potere di autorizzare o proibire l’interruzione – è stato notevole per un paese nel quale fino a quel momento venivano puniti col carcere sia il medico che praticava l’aborto sia la donna che lo richiedeva. Nell’aprile del 2013 sotto la sua presidenza sono stati legalizzati anche i matrimoni gay: i cui coniugi, per legge, hanno oggi gli stessi diritti delle coppie eterosessuali. Fra le altre cose, possono adottare figli e ricorrere alla fecondazione artificiale. Sono risultati notevoli, tenendo conto del fatto che l’Uruguay – come molti dei paesi dell’America latina – ha una popolazione a maggioranza cattolica dove l’unione fra omosessuali non è riconosciuta.
L’ultima, grande riforma approvata sotto la presidenza di Mujica è stata quella della liberalizzazione della marijuana, avvenuta nel dicembre del 2013. La legge autorizza qualsiasi cittadino a coltivare e comprare marijuana a scopo ricreativo – fino a un massimo di sei piante – a un prezzo molto basso e calmierato dallo stato, che stabilisce anche le modalità di produzione e la qualità del prodotto, e in generale si occupa di supervisionare tutta la filiera, dalla coltivazione della pianta fino alla vendita. Nel luglio del 2014, però, Mujica ha detto che l’inizio della vendita legale di marijuana nel paese non inizierà, come previsto, entro la fine del 2014, ma sarà rinviata al 2015. Ci sono infatti alcune «difficoltà pratiche» non meglio specificate: Mujica ha citato semplicemente la volontà di dotarsi di «strumenti tecnologici» che siano «adatti» e che «funzionino».
E adesso?
Il Movimento di Partecipazione Popolare ha candidato per la carica di presidente il 74enne Tabaré Vázquez, che è già stato presidente del paese prima di Mujica. Il candidato del Partito Nazionale, di centrodestra, è Luis Alberto Lacalle Pou, un avvocato 41enne che ha puntato molto sulla necessità di rinnovamento e di ringiovanimento della classe dirigente. Dagli ultimi sondaggi, Vázquez potrebbe ottenere circa il 43 per cento dei voti, mentre Lacalle Pou il 32. Entrambi sono molto lontani dal 51 per cento necessario per vincere le elezioni al primo turno: il ballottaggio si terrà fra i due candidati più votati il 30 novembre. Secondo i sondaggi Pedro Bordaberry, il candidato di un altro partito di centrodestra chiamato Colorado, ha attualmente il 18 per cento e ha già detto che in caso di ballottaggio sosterrà Lacalle Pou. Nel caso di una vittoria di Lacalle Pou, non è chiaro che fine faranno le leggi approvate da Mujica in questi anni.
Related Articles
L’ossimoro libico
Si chiama «Odissea fulminea» l’operazione militare lanciata dagli Stati uniti che avrà come punto di partenza anche la «portaerei Italia» con la base di Sigonella
Tante scuse e nessuna giustizia per i civili afghani uccisi dagli americani
Afghanistan. Amnesty accusa: «I processi non si faranno mai, anche in presenza di prove». Il Sofa garantisce l’immunità ai soldati statunitensi
Il nostro futuro cinese
«Red Mirror. Il nostro futuro si scrive in Cina», di Simone Pieranni, in libreria dal 14 maggio per Laterza. Il «capitalismo di sorveglianza» ha avvicinato Cina e Usa, una strada che sarà seguita dal resto del mondo