Eppure, per segnare la differenza e la distanza tra chi oggi sarà in piazza San Giovanni a Roma e chi andrà ad applaudire Renzi alle ex stazione Leopolda di Firenze si potrebbe più semplicemente dire che da una parte sfilerà l’opposizione dall’altra il governo o, se preferite, da una parte la sinistra e dall’altra la destra. Parole che stavolta si possono declinare sulla linea Maginot della difesa dei lavoratori.
E’ sinistra chi per uguale lavoro chiede uguale retribuzione, è destra chi con il Jobs act prevede il demansionamento. E’ sinistra chi al contratto a termine pone il vincolo di una causale, è destra chi toglie anche quella. E’ sinistra chi per il licenziamento prevede una giusta causa, è destra chi la cancella. E’ sinistra chi misura con il salario operaio la diseguaglianza sociale, è destra chi sceglie l’impresa come riferimento. Per una volta siamo pienamente d’accordo con la sempre sorridente ministra Elena Boschi, madrina della kermesse renziana, quando sottolinea orgogliosamente «noi siamo un’altra Italia rispetto alla Cgil».
Ma il Pd di governo che si riunisce a Firenze per celebrare il suo 40 per cento farebbe bene a riflettere su un piccolo problema. Molti, moltissimi di quelli che oggi sfileranno in corteo per le strade della capitale sono elettori dello stesso partito di Boschi e compagni. Anche se è vero, come ci dicono gli esperti di sondaggi, che il fenomenale consenso di Renzi sfonda grazie a un elettorato di centrodestra con abbandoni nel mondo di sinistra. In ogni caso siamo in presenza di una plateale spaccatura — fisica, politica, culturale — tra il raduno fiorentino e la manifestazione sindacale. Una divisione a lungo costruita con un netto spostamento del partito democratico verso i sogni della Confindustria, contro le lotte del sindacato.
Naturalmente non sarà solo tutto potere e finanza ad animare l’incontro fiorentino, né solo oro quello che brillerà in piazza San Giovanni. L’imprenditore non è sinonimo di Marchionne, e i lavoratori non sono tutti iscritti alla Cgil o alla Fiom. D’altra parte la Cgil non è stata in questi anni un sindacato capace di interpretare lo sconvolgimento del mercato del lavoro, né di rappresentare l’immenso esercito di riserva del precariato. Come del resto ha ammesso la stessa segretaria Camusso («è stato un grave errore di valutazione, non pensavamo che il precariato sarebbe dilatato in questo modo»). E un sindacato che non capisce l’arrivo della tempesta, fatalmente non riesce poi nemmeno a farsi argine e a rilanciare la battaglia del lavoro sulla nuova frontiera della micidiale globalizzazione.
Tuttavia c’è un milione di ragioni per essere oggi in piazza. Ragioni contingenti (la manovra economica e le pessime leggi sul mercato del lavoro), ragioni ideali (una memoria da custodire e un futuro da costruire), ragioni politiche (una sinistra da rifondare).
Noi del manifesto saremo tra i manifestanti con il nostro giornale in edizione speciale. Saremo in edicola come sempre, ma anche in piazza con decine di “strilloni” per diffondere insieme al manifesto anche un inserto di otto pagine (che distribuiremo gratuitamente) dedicato all’articolo 18, con interviste, analisi, testimonianze: un diritto di chi lo ha usato per difendere il posto di lavoro, di chi, precario, non ce l’ha ma lo vorrebbe e oggi è in piazza per difenderlo. Un contributo alla battaglia comune, un gesto concreto di solidarietà e di vicinanza, frutto dell’impegno del nostro gruppo di lavoro. Un piccolo contributo per una grande, decisiva battaglia di democrazia.
E un contributo anche contro la disinformazione. Perché sui quotidiani amici di Renzi (tanti, troppi), sui telegiornali proni (tanti, troppi) nei confronti del premier si è voluto far passare l’idea che l’articolo 18 è un affare di pochi, mentre il governo vuole estendere i diritti ai più. Questa è una falsità, una bugia, una presa in giro. Siamo anche pronti a scommettere che la Leopolda verrà raccontata dai media nazionali e locali per filo e per segno, con articoli di gossip, retroscena, curiosità. Sapremo tutto sui sorrisi e sugli abbracci, sui twitter del premier, sui parvenu filo renziani in cerca di uno strapuntino, sui «mi si nota di più se ci vado o se non ci vado», ma che poi preferiscono esserci perché lì, a Firenze, c’è il nuovo potere e non si sa mai.
Noi del manifesto, più modestamente, riporteremo le voci di chi solitamente è senza voce. Delle donne e degli uomini, dei giovani e degli anziani che si battono per la loro dignità. E per quella di tutti. Compresi i leopoldini.