Il piano contro la povertà delle associazioni costa 7 miliardi all’anno

Il piano contro la povertà delle associazioni costa 7 miliardi all’anno

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ROMA – L’Italia ha bisogno di un Piano nazionale contro la povertà già dal 2015, ma servono 17,6 miliardi in quattro anni per avviarlo, partendo da un investimento iniziale di 1,7 miliardi nel 2015 per giungere a 7 miliardi l’anno, una volta portata la misura a regime, cioè dal 2018 in poi. È quanto propone l’Alleanza contro la povertà in Italia che oggi al Cnel presenta al governo Renzi la nuova versione del Reddito per l’inclusione sociale (Reis), dopo averla aggiornata. Proposto inizialmente da Acli e Caritas italiana, oggi il Reis è supportato da un cartello di circa una ventina di organizzazioni promotrici (tra cui Acli, Caritas, Action Aid, Anci, le tre sigle sindacali Cgil Cisl e Uil, Cnca, Comunità di Sant’Egidio, Confcooperative, Fio-Psd, Fondazione Banco Alimentare Onlus, Forum nazionale del terzo settore, Save the children) e altrettante aderenti al progetto riunite nell’Alleanza per chiedere al governo di “avviare nel 2015 un Piano nazionale contro la Povertà di durata pluriennale”, stanziando “da subito risorse adeguate” senza “limitarsi a risorse destinate a strumenti che rispondono a logiche emergenziali”.
Tutti i costi della misura. La punta di diamante del piano proposto è proprio il Reis, ma per far sì che lo strumento possa andare a regime serve un piano “graduale” e con un “orizzonte definito”. Secondo i promotori, bastano 4 anni e un investimento pubblico iniziale di 1,7 miliardi per il primo anno che possa essere incrementato fino al quarto anno per raggiungere passo passo tutte le persone in povertà assoluta: quindi 3,5 miliardi per il secondo, 5,3 per il terzo anno, mentre per il quarto anno (primo anno della misura a regime) occorrono 7,1 miliardi. Complessivamente, quindi, circa 17,6 miliardi nei primi 4 anni. Secondo i promotori del Reis, una volta a regime, la spesa per sostenere la misura sarà composta da 5,5 miliardi per il solo contributo economico, di 1,6 miliardi per i servizi alla persona e solo 2,4 milioni annui per il monitoraggio. “I 7,1 miliardi di euro – spiega l’Alleanza – rappresentano la soglia minima di spesa per una misura che preveda importi monetari adeguati ad un’esistenza dignitosa e una significativa presenza di servizi alla persona. Al di sotto di questo livello di spesa si possono introdurre solo politiche contro la povertà non eque e con risposte di scarsa qualità”.
Reis tutto a carico dello Stato. Ad assicurare le risorse necessarie per il piano, spiega il documento, deve essere lo Stato. “A regime la misura dovrà costituire un livello essenziale delle prestazioni sociali e, dunque, interamente finanziato dallo Stato – spiega il testo -. Eventuali finanziamenti con Fondi europei o altro potrebbero essere utilizzati parzialmente durante la transizione, ma solo in presenza di un chiaro impegno dello Stato per la situazione a regime. Il possibile contributo finanziario di donatori privati svolgerà un ruolo di rilievo, con funzione complementare rispetto al necessario finanziamento statale del livello essenziale”. Per l’Alleanza, però, i soldi ci sono. “Siamo persuasi che la proposta del Reis è compatibile con le capacità finanziarie dello Stato – spiega il documento -, il quale dovrà comunque tenere conto di vincoli finanziari sostenibili. Evidenziare la necessità del finanziamento statale non significa assolutamente svilire tutto quello che è già stato realizzato nel territorio contro la povertà che, al contrario, dovrà essere valorizzato e confluire nella riforma”.
Peso “esiguo” sulla spesa pubblica. Per l’Alleanza, infatti, un piano di questa portata ha un “impatto esiguo” sulla spesa pubblica complessiva. “Nel 2013 la spesa pubblica totale ammonta a 799 miliardi di euro, pari al 51,2 per cento del Pil – spiega il testo -. A regime il costo complessivo del Reis è pari solamente a poco più dell’1 per cento della spesa primaria corrente. Una quota indubbiamente contenuta”. Secondo i promotori, però, non è soltanto una questione di mera sostenibilità. “L’esperienza insegna che, quando un tema diventa priorità politica, le risorse si trovano. Gli esempi più noti sono il bonus da 80 euro (2014, costo annuo di 10 miliardi di euro) e l’eliminazione di due imposte sull’abitazione di residenza: l’Ici (2008, costo 3,4 miliardi di euro) e l’Imu (2013, costo 4 miliardi al lordo della cosiddetta mini-Imu). Questi non sono evidentemente gli unici esempi, ma si tratta di alcuni tra i più eclatanti”.
Risorse non provengano da altre misure di welfare. Il nuovo piano, spiegano le organizzazioni, andrà a sostituire le attuali misure esistenti, ma assicurerà anche continuità. Il piano, inoltre, dovrà iniziare sin dal prossimo anno ad affiancare erogazioni monetarie con quelle dei “servizi necessari ad acquisire nuove competenze e organizzare diversamente la propria vita”. Il Piano immaginato dall’Alleanza, infine, non dovrà intaccare altre misure di welfare. “La prossima legge di Stabilità non deve prevedere la messa in discussione delle altre misure per il welfare sociale a rischio, a partire dai fondi nazionali, oggetto negli anni recenti di tagli radicali, che ne hanno già messo in discussione la sopravvivenza. L’investimento sulla lotta alla povertà assoluta non può considerarsi in alcun modo sostitutivo del necessario rifinanziamento di questi Fondi. Allo stesso modo, le risorse necessarie per finanziare la misura contro la povertà assoluta non dovranno essere recuperate togliendole ad altre fasce deboli o a rischio di fragilità della popolazione”. (ga)
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