by redazione | 15 Ottobre 2014 10:59
La Palestina vince 274 a 12. Campo di gioco, il parlamento britannico che – seguendo la volontà della società civile e sfidando il premier Cameron – ha votato a favore di una mozione di un diviso partito laburista che chiede al governo di riconoscere lo Stato di Palestina. Un voto che non vincola e a cui hanno preso parte solo metà dei parlamentari, ma dal forte significato simbolico oltre che diplomatico: la pressione di parte della comunità internazionale non fa dormire sonni tranquilli al governo Netanyahu.
Il sì al riconoscimento della Palestina come Stato, «accanto a quello israeliano», è arrivato dai banchi della maggioranza e dell’opposizione (seppur nel partito di Milliband non siano mancati mal di pancia e astensioni). Il voto, spiega la mozione, è «un contributo al rafforzamento della soluzione a due Stati». Dietro, le piazze inglesi colme di manifestanti nei giorni terribili dell’attacco israeliano contro Gaza, 2.150 morti palestinesi che già avevano convinto il sottosegretario agli Esteri, Sayeeda Warsi, ad uscire dal governo.
Cameron abbozza e promette all’alleato israeliano che nessuna decisione ufficiale scaturirà dalla presa di posizione del parlamento: Londra «si riserva il diritto di riconoscere bilateralmente lo Stato di Palestina quando questo potrà aiutare il processo di pace», ha commentato il ministro degli Esteri Hague. La narrativa è identica a quella israeliana: il diritto allo Stato palestinese passa per Tel Aviv e per il fantomatico processo di pace che il guerrafondaio Netanyahu invoca quando gli fa comodo.
Ieri da Tel Aviv sono piovute critiche su Westminster, colpevole di forzare la mano in un ambito che è appannaggio del negoziato. Ma quale negoziato? Dal 1993, anno degli Accordi di Oslo che hanno avuto come solo risultato l’istituzionalizzazione dell’occupazione, Israele prosegue indisturbato nella colonizzazione selvaggia dei Territori Occupati, la trasformazione unilaterale di Gerusalemme, le violazioni strutturali dei diritti umani, i crimini di guerra contro la Striscia e il controllo totale delle risorse naturali palestinesi. Coperto, spesso, dall’ombrello dei negoziati: l’ultimo round, lanciato dal segretario di Stato Usa Kerry nel luglio 2013, ha garantito l’impunità necessaria a radicare l’occupazione.
La scontata reazione israeliana al voto (a stretto giro dal riconoscimento della Svezia dello Stato palestinese) è arrivata dal Ministero degli Esteri: «Il prematuro riconoscimento internazionale manda un messaggio sbagliato alla leadership palestinese, che così può eludere le scelte difficili che entrambe le parti devono compiere, e mina le possibilità di una pace vera».
E seppure la mozione dei Comuni non indichi entro quali confini tale Stato dovrebbe nascere, Netanyahu ha preferito ignorare, almeno sul piano ufficiale, un voto che lo disturba molto e che giunge mentre il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon visita Gaza, il giorno dopo la promessa del mondo di donare 5,4 miliardi di dollari per la ricostruzione di una Striscia devastata dalle bombe. Passato tra le macerie del quartiere teatro del peggior massacro di «Margine Protettivo», Shajaiya, Ban Ki-moon ha detto che «la distruzione vista a Gaza va al di là di ogni descrizione. Le radici delle violenze sono un’occupazione restrittiva lunga mezzo secolo, la negazione dei diritti palestinesi e la mancanza di progressi nel negoziato».
Più esplicito è l’ambasciatore britannico a Tel Aviv, Matthew Gould, che alla radio israeliana fa notare che «il vento sta cambiando, Israele ha perso sostegno dopo il conflitto e una serie di annunci sulle colonie». Dello stesso avviso è l’opposizione israeliana: anche Herzog, leader laburista, cita «il vento freddo che soffia verso Israele e sta portando una tempesta diplomatica».
Che il vento cambi davvero, è difficile da credere: nonostante le critiche dell’Onu, le velate pressioni Usa e le nuove norme della Ue sui prodotti delle colonie, gran parte dei governi occidentali non intende far venir meno lo storico sostegno al figlioccio israeliano.
A festeggiare è la leadership palestinese. Hanan Ashrawi, membro dell’Olp, ribatte a Tel Aviv: «Il riconoscimento della Palestina non è legato al risultato di negoziati con Israele, o qualcosa da barattare con qualcos’altro. È una decisione di principio e un passo significativo verso pace e giustizia».
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