IL NOBEL IN NOME DEI BAMBINI

by redazione | 11 Ottobre 2014 10:26

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IL NOBEL per la pace cerca di trovare una bella storia, questa volta c’è riuscito. La storia di Malala era bellissima, e la predestinava: ha 17 anni, una vita di scorta, carica di onori, sotto i quali non soccomberà, perché sa che cosa vuole. Finire i suoi studi a pieni voti, diventare un giorno presidente del Pakistan, come Benazir Bhutto, e intanto continuare nel suo formidabile programma.
“VOGLIO semplicemente che tutte le ragazze vadano a scuola”. Premiato con lei, l’indiano Kailash Satyarthi, 60 anni, è meno noto alle nostre pagine, anche lui ha subito attentati, ma ha alle spalle “molte decine di migliaia di bambini strappati al lavoro e alla schiavitù”, e la nuova fama moltiplicherà i suoi successi. Il comitato norvegese ha curato meticolosamente l’accoppiamento: un indiano indù e una pakistana musulmana, mentre alla frontiera del Kashmir ci si ammazza. La motivazione cita Sathyarthi come erede di Gandhi, e mette riparo al Nobel che Gandhi non ricevette. Il premio è venuto alla vigilia dell’11 ottobre, giornata dedicata alle bambine. Lei, dopo esservi stata curata, vive a Birmingham, e questo ne fa un’antagonista esemplare del decapitatore inglese dell’Is. Il diritto delle bambine ad andare a scuola è anche la posta primaria dell’Afghanistan che le missioni internazionali stanno lasciando. Ieri si leggevano le cifre sulla condizione delle bambine e dei minori nel mondo. Sul “Venerdì” un tempestivo servizio di Antonella Barina raccontava le bambine indiane del Tamil Nadu, vendute a sei euro e mezzo per andare a impollinare con dita piccole e docili il cotone transgenico della Monsanto, più resistente e redditizio purché impollinato a mano. Lavoro di minori e abusi sessuali vanno assieme. 68 milioni di bambine e ragazze senza scuola e senza giochi fra i 5 e i 17 anni. 170 milioni di minori costretti a lavorare. Almeno 100 milioni di bambine non nate per gli aborti selettivi.
Ieri Repubblica ospitava il resoconto di Nicholas Kristof su un dibattito a proposito dell’islam, sostenendo giustamente che l’islam non può essere accusato in blocco di intolleranza e violenza, e che delle efferatezze jihadiste le vittime più numerose sono musulmane. E ricordava un passato prossimo in cui l’occidente si macchiò di violenza terribile. Che integralismo e violenza prevalgano oggi in una parte di mondo fa una differenza pratica sostanziale. Ma il punto non è in una turnazione storica: l’aggressività di una parte del pianeta che fa appello all’islam (non solo) è oggi espressione di una novità epocale, la liberazione delle donne. Per la prima volta un mondo patriarcale reagisce al rischio di vedersi portar via la proprietà delle bambine e delle donne, il più intimo ed esclusivo patrimonio. È qui il cuore della guerra mondiale a pezzi. Malala è andata a dire in Nigeria lo slogan (vano, finora): “Bring back our girls”, ridateci le nostre ragazze. Se è vero che Boko Haram vuol dire testualmente “l’istruzione occidentale è il peccato”, nessuna denominazione potrebbe essere altrettanto eloquente. L’occidente è (“in ultima istanza”, si sarebbe detto un tempo) lo spettacolo delle bambine che vanno a scuola e delle ragazze che decidono come vestirsi: le due cose insieme, perché a scuola vanno anche a Teheran. E delle madri che educano i loro figli senza temerli (o augurarli) già come i propri padroni. È la posta dell’avanzata del sedicente califfato in Siria e Iraq: il petrolio fa gola, l’acqua ancora di più, ma bambini arruolati e bambine e donne tenute alla catena sono il fondamento della società cui quei guardiani delle virtù tengono alla morte.
Malala esasperò i talebani della valle dello Swat quando, tredicenne, grazie a un padre maestro di scuola convinto che le bambine dovessero istruirsi, tenne un diario in cui descriveva l’ottusa brutalità di uomini che volevano proibire loro di andare a scuola e di mostrare i capelli. Il loro portavoce, dopo il tentato assassinio, dichiarò: “È una ragazza dalla mentalità occidentale: chiunque ci critichi subirà la stessa sorte”. Ieri il presidente pakistano ha detto che Malala è “l’orgoglio del paese”: sincere o no, parole memorabili. Nel famoso discorso alle Nazioni Unite, Malala aveva detto: “Voglio l’educazione per i figli dei talebani e di tutti i terroristi”.
Dal Nobel per la pace bisogna augurarsi almeno che non vada fuori bersaglio (candidato, per il suo ruolo in Siria — sic!—: Vladimir Putin). Se poi racconta una doppia bella storia, fa onore a quel bravo inventore della dinamite.

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