by redazione | 1 Ottobre 2014 9:26
Si era dato fuoco a piazza Risorgimento, nel cuore di Catania, per protestare contro i vigili urbani che gli avevano sequestrato, nel corso di un’operazione antiabusivismo, le cassette di frutta con cui cercava di sbarcare il lunario dopo aver perso il lavoro di operaio edile. È morto ieri mattina all’ospedale Cannizzaro, Salvatore La Fata, dopo dieci giorni di agonia e le complicazioni sopravvenute nelle ultime ore. Francesco Maria Marchese, legale della famiglia dell’operaio, spiega che a questo punto per gli agenti potrebbe scattare l’accusa di omicidio colposo, che si andrebbe a integrare a quella di istigazione al suicidio e omissione di soccorso.
Sì, perché appare plausibile che quel 19 settembre, alla «minaccia» di La Fata di darsi fuoco, i vigili abbiano replicato «Sì ma fallo più in là», forse sottovalutando le intenzioni dell’ambulante. Così come sembra che nessuno sia intervenuto nei 40 secondi in cui l’operaio andava trasformandosi in una torcia umana. Non i vigili, non i passanti. Lo stesso La Fata, stando alle poche testimonianze, avrebbe provato a salvarsi gettandosi addosso un secchio d’acqua con cui era solito sciacquare la frutta. Ma era già troppo tardi.
«Ai familiari rivolgiamo il nostro abbraccio e la nostra solidarietà — dice Claudio Longo (Fillea Cgil) durante un sit in dei sindacati organizzato ieri sera davanti alla prefettura -. Alle istituzioni, al prefetto, al Comune, invece, chiediamo di essere convocati al più presto, di aprire subito una sede di confronto. Chiediamo di sbloccare le opere cantierabili per dare un po’ di respiro ai lavoratori del settore che a migliaia, come Salvatore, hanno perso il posto negli ultimi anni».
Tantissimi i messaggi di cordoglio e di sconcerto sui social. Per Luca Cangemi (Prc), «la morte di Salvatore richiede verità e giustizia rispetto alle circostanze in cui è avvenuta, e impone una condanna della classe dirigente che ha trasformato Catania in un luogo di disperazione». Giovanna Coci si chiede «chi, adesso, provvederà alla sua famiglia?». Per Renato Gangemi «Salvatore è stato trattato come un delinquente, perché provava a guadagnare qualcosa. Le istituzioni dove sono?». Ma è Goffredo D’Antona, avvocato e attivista sociale, che sintetizza meglio il quadro di questa giornata nera per la città etnea: «Non si può morire per una cassetta di frutta».
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