by redazione | 3 Ottobre 2014 9:56
Sciopero a oltranza negli Istituti politecnici del Messico. Gli studenti protestano contro la riforma degli istituti e la privatizzazione della scuola pubblica, ma anche contro la repressione. Venerdì scorso, oltre 50.000 studenti hanno manifestato per le strade della capitale Città del Messico per chiedere giustizia sui fatti di Iguala, una città dello stato del Guerrero, nella parte sud-occidentale del paese.
La notte del 26 settembre, la polizia municipale di Iguala spara contro tre autobus su cui si trovano studenti della Normal Rural di Ayotzinapa, in mobilitazione contro i nuovi piani di studio approvati in estate. Uno studente rimane ucciso. Poco dopo la mezzanotte, i giovani della Normale (chiamati «normalistas») vengono di nuovo aggrediti da uomini armati mentre stanno parlando con i giornalisti. Muoiono altri due studenti, una ventina di loro rimane ferita e altri 25 arrestati. Nella stessa zona, un commando con fucili d’assalto attacca un autobus su cui viaggiano i calciatori della squadra Avispones, che rientrano in autobus a Chilpancingo. Uccidono tre atleti, forse scambiati per studenti in agitazione.
Durante la giornata di sabato, si diffonde la notizia che 58 «normalistas» che partecipavano alle proteste sono scomparsi. Viene pubblicata una lista, 22 agenti della polizia municipale vengono arrestati con l’accusa di aver sparato contro gli studenti. Il sindaco di Iguala, José Luis Abarca Velazquez e Felipe Flores Velazquez, segretario per la Sicurezza del municipio, si rendono irreperibili, dopo che la Procura generale ha emesso un mandato di comparizione nei loro confronti. Il governatore di Guerrero, Angel Aguirre Rivero, promette una ricompensa di un milione di pesos a chi fornisca informazioni per ritrovare gli studenti scomparsi: 44 — dice — perché gli altri si sono nascosti per paura o sono tornati alle loro comunità.
Ma al funerale degli studenti uccisi, maestri, contadini, studenti e familiari chiamano in causa l’intreccio tra poteri locali e gruppi paramilitari, che hanno evidentemente agito di concerto con la polizia. E ricordano le responsabilità del governatore, coinvolto anche nel massacro di El Charco, del 1998, e responsabile dell’uccisione di altri due «normalistas», nel 2011. I nomi degli uccisi a Iguala e quelli degli scomparsi vengono gridati anche durante le manifestazioni che si svolgono il 2 in tutto il Messico: nel 46° anniversario del massacro di Piazza delle Culture a Tlatelolco, quando vennero uccise dalla polizia almeno 300 persone che manifestavano solidarietà ai movimenti del ’68.
Tra militarizzazione e insicurezza si misura il disastro delle politiche neoliberiste del governo di Enrique Peña Nieto, eletto nel 2012 fino al 2018. Le «desaparecion» sono in aumento, e così pure le spese militari. Dei 22.000 scomparsi, 9790 sono stati denunciati durante il governo Nieto, 12.532 durante quello di Felipe Calderon. Il 73,3% dei cittadini considera insicuro il suo paese, dove i delitti sono aumentati nel 2013 del 19,5% rispetto all’anno precedente. Secondo Reporters sans frontières, Messico e Colombia sono i paesi più insicuri per i giornalisti. Nel 2013, il costo dell’insicurezza è stato di 15.879 milioni di dollari, l’1,27% del Pil.
Nonostante le proteste popolari, in Messico è appena stata approvata una riforma energetica che mette fine a 75 anni di monopolio dell’impresa statale Pemex e apre le porte alle imprese private e alle multinazionali per lo sfruttamento di petrolio e gas naturali. Insieme alla Colombia, il Messico è un asse portante degli Accordi di libero scambio con Washington, partner privilegiato. Ma il giovane presidente flirta anche con altre alleanze negli organismi latinoamericani e nei Brics. E ora, dopo la visita del ministro degli Esteri cinesi, Wang Yi, pare intenzionato ad accogliere Pechino, le cui imprese sono «molto interessate a partecipare attivamente» all’apertura petrolifera messicana.
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