by redazione | 7 Ottobre 2014 7:58
Le banche vogliono chiarimenti dal governo sul fronte Tfr prima di dare il via libera all’operazione. L’Associazione bancaria italiana (Abi) ha incontrato ieri i tecnici dell’esecutivo e oggi ci sarà il vertice ufficiale tra banche e governo per provare a sciogliere i dubbi sul provvedimento che porterà in busta paga la liquidazione dei lavoratori dipendenti. Un’iniziativa «volontaria», assicura la politica, che impegnerebbe però il credito ad anticipare solo nel 2014 fino a un massimo di 11 miliardi alle piccole e medie imprese tricolori. E che senza l’ok dell’Abi ben difficilmente potrebbe decollare.
Le bocche, come ovvio, sono cucite. Anche perché gli istituti aspettano di leggere un testo ufficiale. I testi circolati in questi giorni prevedono che a restituire il Tfr in busta paga ai dipendenti delle aziende con meno di 50 dipendenti — le uniche che lo trattengono in tesoreria — sia o un fondo compartecipato da Cassa depositi e dalle banche o gli istituti in prima persona. Un’intermediazione chiesta da Confindustria e necessaria per non creare problemi a realtà che utilizzano i soldi accantonati per il Tfr come riserva di liquidità a basso costo in un momento in cui il credito arriva con il contagocce.
La formula prevista della bozze del governo non toccherebbe questo tesoretto. Le banche anticiperebbero i soldi in busta paga e solo al momento delle dimissioni del dipendente le aziende restituirebbero la liquidità accumulata agli istituti o al Fondo.
I nodi per l’Abi sono chiari: che ritorno garantiranno questi prestiti alle pmi? La liquidazione oggi ha un rendimento “automatico” (1,5% + il 175% dell’inflazione, in questo momento circa il 2,3%). Un tasso molto inferiore a quello medio praticato sui crediti alle imprese, il 2,89% a fine agosto, e molto basso soprattutto rispetto ai valori praticati a quelle più inaffidabili o a rischio. Il governo ha messo sul piatto la garanzia pubblica dell’Inps su questi fondi. E il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha in sostanza dato luce verde («le banche sono libere») all’utilizzo dei fondi raccolti con l’ultimo finanziamento Tltro della Bce — 23 miliardi chiesti dagli istituti italiani a un tasso agevolato dello 0,15% — per il finanziamento dell’operazione Tfr. Il mondo del credito però vorrebbe rendimenti adeguati sui soldi girati alle aziende più fragili e chiede certezze su modi e tempi di rimborso in caso di fallimenti societari tra i debitori.
Un altro nodo da chiarire è cosa dovranno fare i lavoratori che hanno già deciso di girare parte della loro liquidazione alla previdenza complementare. Potranno fare marcia indietro pretendendo di farsi depositare la cifra direttamente nello stipendio? L’ipotesi ha creato già qualche mal di pancia tra i fondi pensione, alle prese con il faticoso decollo di questo “terzo pilastro” della previdenza integrativa sponsorizzato negli anni passati dalla politica. Nel 2013 «su 12,3 miliardi di flussi contributivi complessivi in questi strumenti, circa 5,2 miliardi sono stati rappresentati da quote di Tfr», ha detto con un filo di preoccupazione Rino Tarelli, l’Authority di settore. «È chiaro che, prima di esprimere una valutazione dell’effettivo impatto di tale eventuale misura, è necessario conoscere le modalità in cui tale soluzione verrebbe articolata — ha aggiunto — come la quota del Tfr presa in considerazione, durata e destinatari dell’iniziativa e la sua volontarietà».
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