L’articolo 18, le mistificazioni e la legge

by redazione | 3 Ottobre 2014 9:20

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Il pro­getto di abo­lire le tutele pre­vi­ste dall’art. 18 non rap­pre­senta un’innovazione che apre la strada al futuro ma una regres­sione ad un’epoca in cui le rela­zioni indu­striali erano rego­late esclu­si­va­mente dai rap­porti di forza a pre­scin­dere dal diritto. Di fronte alle misti­fi­ca­zioni con le quali si tenta di ingan­nare l’opinione pub­blica, occorre pre­ci­sare che l’art. 18 dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori non inter­viene sulla libertà di licen­zia­mento, che resta rego­lata dal prin­ci­pio della giu­sta causa o del giu­sti­fi­cato motivo; si tratta di una norma-sanzione che reprime il licen­zia­mento ingiu­sti­fi­cato, cioè ille­gale, eli­mi­nan­done gli effetti.
L’abolizione dell’art. 18, quindi, non incide sulla libertà di licen­zia­mento (che resta rego­lata dalla legge), bensì sulla repres­sione del licen­zia­mento ille­gale, con­sen­tendo ai forti e ai furbi di sot­trarsi all’osservanza delle regole. Tale san­zione rap­pre­senta l’architrave per la tenuta di tutto l’edificio dei diritti, san­cito dallo Sta­tuto dei diritti dei lavo­ra­tori, che tutela la dignità del cit­ta­dino lavo­ra­tore nei con­fronti del potere pri­vato. Infatti da lungo tempo la giu­ri­spru­denza della Corte Costi­tu­zio­nale e della Corte di Cas­sa­zione hanno rile­vato che i diritti nascenti dal rap­porto di lavoro pos­sono essere eser­ci­tati, in costanza di rap­porto, sol­tanto in pre­senza di un regime di sta­bi­lità reale.

Il rico­no­sci­mento della dignità del cit­ta­dino lavo­ra­tore impone che sia assi­cu­rata la tutela con­tro il licen­zia­mento ingiu­sti­fi­cato come richiede l’art. 30 della Carta dei diritti fon­da­men­tali dell’Unione euro­pea. La Costi­tu­zione ita­liana assi­cura il godi­mento dei diritti di libertà a tutti e garan­ti­sce al cit­ta­dino lavo­ra­tore una serie di diritti (retri­bu­zione ade­guata, durata mas­sima della gior­nata lavo­ra­tiva, riposo set­ti­ma­nale, ferie annuali e retri­buite) che impe­di­scono che la pre­sta­zione di lavoro possa essere ridotta al rango di una sem­plice merce com­pra­ven­duta sul mer­cato dei fat­tori pro­dut­tivi. Allo Sta­tuto dei diritti dei lavo­ra­tori è stata rico­no­sciuta la fun­zione di aver fatto valere la Costi­tu­zione anche nei con­fronti del potere pri­vato intro­du­cen­dola in un vasto ter­ri­to­rio da cui era stata esclusa.

L’eliminazione della norma che san­ci­sce la tenuta dello Sta­tuto, con­se­gna ai poteri pri­vati la libertà di sot­trarsi all’osservanza delle leggi e dei prin­cipi costi­tu­zio­nali e tra­sforma la pre­sta­zione di lavoro in una merce, con­sen­tendo che venga cal­pe­stata al mas­simo grado la dignità dei cittadini-lavoratori, e insi­diata la libertà delle orga­niz­za­zioni sin­da­cali sgra­dite al potere pri­vato, che potranno essere messe fuori dai can­celli della fab­brica, sba­raz­zan­dosi dei lavo­ra­tori sin­da­ca­liz­zati, come avve­niva negli anni 50 del secolo scorso.

Che non si tratti di un peri­colo pura­mente teo­rico è dimo­strato dall’esperienza di que­sti ultimi anni che ci hanno fatto assi­stere al ten­ta­tivo di un potere pri­vato di sba­raz­zarsi del più forte sin­da­cato metal­mec­ca­nico euro­peo; ten­ta­tivo che è stato bloc­cato sol­tanto per l’intervento dell’autorità giu­di­zia­ria, che adesso si cerca disar­mare, sman­tel­lando le san­zioni per i com­por­ta­menti illegali.

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