I dissidenti pd tra Landini e la piazza La sinistra prova a resistere al Jobs act

by redazione | 5 Ottobre 2014 19:25

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BOLOGNA L’adrenalina e la vis agonistica, nei serbatoi in ebollizione delle anime sparse del Pd in guerra con il premier-segretario Renzi sulla frontiera dell’articolo 18, la mette uno di quei mediani che alle caviglie picchia duro, Maurizio Landini. A Bologna, a metà mattina, il segretario della Fiom infiamma sotto il tendone bianco di una balera della Festa dell’Unità a Borgo Panigale i mille e più seguaci di Gianni Cuperlo, area Sinistradem nelle quali spiccano per durezza verso le posizioni renziane le voci di Stefano Fassina e Sergio Cofferati. Qualche ora dopo, Landini si rimaterializza a Roma, alla manifestazione di Sel in piazza Santi Apostoli, un tempo culla dell’Ulivo prodiano e ora teatro del secondo tempo di un duello che è solo agli inizi. «Vado ovunque, vado da chi mi chiama — tuona dal palco il leader della Fiom —, è una battaglia che mi ricorda quella di 4 anni fa alla Fiat e anche stavolta va fatta fino in fondo: dallo sciopero generale a manifestazioni che uniscano lavoratori, precari, cassintegrati e disoccupati. Il primo obiettivo è togliere dal tavolo l’articolo 18».
Sabato di lotta. E di chiamata alle armi. La minoranza pd ha ancora troppe voci dissonanti, troppi volti che si sovrappongono. L’assemblea nazionale dell’area Cuperlo si intitola «Campo aperto» e, come fanno notare molti, «giusto aprire le porte a tutti, ma alla fine vanno trovate convergenze». Landini ci mette passione e chilometri, ma alla fine toccherà alla sinistra pd trovare una strategia comune, e non è detto che ci riesca. Per ora c’è chi, come Fassina, ritiene «non votabile» la delega del Parlamento al governo in materia di lavoro. Chi, come Cuperlo, punta a svolgere un ruolo di cerniera tra le anime del dissenso, mettendo qualche paletto («Di scissione non voglio sentire parlare») e lasciando campo aperto sul voto alle Camere («Vedremo il testo finale, ma porre la fiducia su una legge delega di questa portata sarebbe un errore»). Poi, da Roma, c’è il leader di Sel, Nichi Vendola, che vede nella difesa dell’articolo 18 l’ombrello per «una nuova coalizione sui diritti e sul lavoro». E il dem Pippo Civati, al suo fianco: «Alle prossime elezioni ci dobbiamo presentare con Vendola, non con Verdini».
A Bologna Cuperlo sceglie «La notte delle Case del popolo» per lanciare la sua offensiva, rischiando che qualcuno tiri in ballo «Nostalgia canaglia» di Al Bano e Romina. Ma lui, tra gli applausi, guarda avanti: «Non siamo noi il vecchio: noi vogliamo portare nel futuro il meglio del Novecento. Casomai lo è chi all’improvviso scopre il bello dell’Ottocento». Concetto da approfondire. Ci pensa da Roma Vendola: «Renzi ci propone l’Ottocento 2.0». E Cofferati: «Non vorrei che la solidarietà di cui parla il premier si tramutasse nella filantropia del ricco che fa cadere la moneta: sarebbe un grave regresso». In ballo, molto di più dell’articolo 18. «C’è un preciso disegno — incalza Landini — che punta a far sì che il padrone torni a fare il padrone». E ancora Vendola, stavolta in fotocopia con Fassina, censura «l’impianto conservatore del piano Renzi: una controriforma che scarica sul sindacato le colpe della precarietà e punta ad una compressione del costo del lavoro».
Ma ora viene il difficile per la minoranza pd. Parola di uno che ci è già passato: Sergio Cofferati, che il 23 marzo del 2002 radunò al Circo Massimo 3 milioni di persone in difesa dell’articolo 18. «Oggi è tutto più difficile — afferma —: allora eravamo contro Berlusconi, adesso parliamo criticamente a un governo che abbiamo votato…». E non è un caso se l’ex leader cgil mette le mani avanti, a costo di beccarsi del gufo: «Compagni, si può perdere la battaglia, non essere maggioranza, ma l’importante è ricominciare il giorno dopo». Ci prova Cuperlo a smorzare la tensione. Prima lancia l’idea di «un Leopoldo» in contrapposizione alla Leopolda renziana per discutere del nuovo assetto del partito. Poi, togliendosi la giacca, ammette: «Mi sto modernizzando, non escludo di arrivare alla camicia bianca…».
Francesco Alberti

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