Il fenomeno Jobbik e la sfida di Orbán Test per l’Ungheria
A Miskolc, quarta città d’Ungheria, i risultati delle amministrative di ieri erano attesi soprattutto dalla comunità Rom. Péter Jakab, candidato alla carica di sindaco per il partito di estrema destra Jobbik, aveva promesso di riportare l’ordine e «combattere il crimine zingaro»: dopo le demolizioni di campi già realizzate dal Consiglio uscente dominato dai conservatori di Fidész, si profilano misure ancora più estreme — e una segregazione più dura. Ordine e sicurezza, le parole ripetute nelle trenta città dove alla vigilia del voto Jobbik era primo nei sondaggi. L’onda della destra ungherese non perde slancio.
Se Jobbik punta a consolidarsi come seconda forza politica del Paese scommettendo sul radicamento territoriale, il primo ministro Viktor Orbán conta sul terzo trionfo consecutivo del 2014, dopo le politiche di aprile e le europee di maggio. Forte della maggioranza parlamentare dei due terzi, Orbán prosegue nella «rivoluzione illiberale» diventata il centro del suo progetto politico e perseguìta attraverso l’accentramento dei poteri, la delegittimazione del dissenso, l’esaltazione dell’orgoglio identitario. Un autoritarismo che Orbán vuole allontanare dall’orbita estremista, contrapponendo alla retorica apertamente xenofoba di Jobbik slogan e iniziative a favore dell’integrazione.
L’idillio con gli ungheresi potrebbe durare ancora per poco. Nei piani di bilancio da presentare entro la fine del mese, l’esecutivo dovrà introdurre le misure di austerità richieste dai parametri europei. D’ora in poi Orbán faticherà a mantenere i livelli plebiscitari di consenso ai quali è abituato. E a contrastare l’attrazione irresistibile esercitata da Jobbik.
Maria Serena Natale
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