Così la vecchia politica prova a sopravvivere nelle nuove Province

by redazione | 13 Ottobre 2014 10:17

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ROMA Luigi de Magistris, almeno, ha potuto votare. È il massimo che gli ha concesso il Tar, dopo il ricorso che il sindaco sospeso di Napoli ha presentato contro la sua esclusione dalle liste degli elettori per il consiglio della città metropolitana di Napoli decretata, con straordinario tempismo e inusitata efficienza alla vigilia della propria dissoluzione, dalla stessa Provincia di Napoli. L’ex magistrato condannato in primo grado a 15 mesi nel processo «Why not» non potrà in ogni caso diventare «sindaco metropolitano». Con il risultato che Napoli sarà l’unica delle dieci città metropolitane ad avere un presidente diverso dal sindaco eletto del capoluogo. L’arduo compito toccherà al primo cittadino facente funzioni di de Magistris: il suo vice Tommaso Sodano, ex deputato di Rifondazione comunista. Una specie di inattesa resurrezione per il dissolto partito di Fausto Bertinotti.
La lotta sugli enti
Può sembrare un dettaglio, ma non lo è. Perché intorno alle vecchie Province si è scatenata una battaglia politica che non ha nulla da invidiare alle vecchie contese elettorali tanto care ai partiti. Quasi come se la legge Delrio che ha abolito le elezioni di primo grado, con l’obiettivo di ridurre le Province a semplici agenzie tecniche a servizio dei Comuni, fosse solo un banale incidente di percorso. Il fatto è che nella politica made in Italy mantenere un incarico, qualunque esso sia, allunga sempre la vita. E magari apre anche prospettive ulteriori. Il caso di Napoli dice tutto: e non perché da più parti (sinistra e destra) sia stata avanzata la richiesta di rinviare le elezioni per la nuova Provincia, dove elettori non sono più i cittadini ma i rappresentanti degli enti locali. Ma perché per conquistare non la presidenza, bensì qualche poltroncina di un’agenzia apparentemente senza più poteri politici sono scesi in campo i pezzi da novanta. A capo della lista di Forza Italia è apparso addirittura lo stesso presidente della Provincia Antonio Pentangelo, coordinatore del partito che ha sostituito alla guida dell’ente il deputato forzista Luigi Cesaro, prodigo di dichiarazioni durissime contro la riforma Delrio. Mentre la pattuglia del Partito democratico è stata capitanata dal sindaco di Afragola Domenico Tuccillo: ex onorevole. Così come a Terni la punta di diamante è un altro ex parlamentare del centrosinistra come il sindaco del capoluogo umbro Leopoldo Di Girolamo. E nemmeno in una Provincia come quella di Fermo, nata soltanto nel 2009 quando già non c’era più un politico (leghisti a parte) che non sostenesse a parole l’abolizione di quegli enti, c’è chi è disposto a mollare: tanto è vero che sui è candidato anche il presidente uscente Fabrizio Cesetti, per tre legislature deputato del Pds e poi Ds.
Veleni e larghe intese
A dimostrazione del fatto che nessuno, a dispetto della riduzione delle funzioni, della cura dimagrante imposta dalla legge e della gratuità degli incarichi, crede davvero alla fine delle Province, la battaglia infuria da Nord a Sud. E se a differenza di Napoli, le elezioni della città metropolitana di Reggio Calabria, comune sciolto per infiltrazioni mafiose, sono state differite facendo sopravvivere la vecchia Provincia con il suo presidente di centrodestra Giuseppe Raffa fino alla scadenza naturale del 2016, come pure a Venezia dove il commissariamento del Comune ha lasciato per il momento in sella alla Provincia la già scaduta presidente leghista Francesca Zaccariotto, altrove le macchine elettorali hanno funzionato a pieno ritmo.
Senza trascurare certi accordi sottobanco all’insegna delle grandi (o piccole) intese. Come per esempio è accaduto a Taranto, dove un paio di settimane fa la nuova Provincia è finita in mano a Martino Tamburrano di Forza Italia grazie ai voti del centrosinistra: il che ha provocato uno psicodramma nel Partito democratico, aggravato dal fatto che il presidente di centrodestra aveva assegnato deleghe a due esponenti del Pd di Renzi. Deleghe subito riconsegnate al mittente dopo una sommossa interna. Che ha lasciato strascichi velenosi: «Non mi hanno riconosciuto nemmeno l’onore delle armi», si è sfogato il candidato democratico Gianfranco Lopane, sindaco di Laterza. Veleni sgorgati abbondanti anche a Vibo Valentia, dove l’ha spuntata Andrea Niglia, capeggiando il gruppo battezzato «Insieme per la Provincia di Vibo Valentia adesso». Lista sostenuta da Fratelli d’Italia, forzisti, alfaniani, e renziani. Abbastanza per far volare gli stracci.
Storie simili a quelle accadute, hanno raccontato sull’ Espresso Tommaso Cerno e Federica Fantozzi, a Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Cremona, Cuneo, Asti, Torino…
Le città in attesa
Servirà di lezione ai prossimi? Perché ci sono consigli provinciali destinati a sopravvivere ancora. Anche molto a lungo. A Imperia, Viterbo, L’Aquila e Caserta c’è ancora un anno di tempo. A Vercelli, Mantova, Pavia, Treviso, Ravenna, Lucca, Reggio Calabria, Macerata e Campobasso si andrà a votare nel 2016. Addirittura nel 2018 a Udine: l’ultima ridotta leghista in mano al presidente Pietro Fontanini, già parlamentare per tre legislature.
Sergio Rizzo

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