by redazione | 2 Ottobre 2014 10:25
Le sentenze non si commentano. Meno male che questa si commenta da sola. Sono pubbliche le motivazioni della sentenza pronunciata dai giudici della prima Corte d’Assise di Milano che lo scorso luglio assolsero quattro poliziotti accusati di omicidio preterintenzionale, “perché il fatto non sussiste”. La sera del 30 giugno 2011 Michele Ferrulli morì tra le loro mani mentre lo stavano picchiando (poco) per ammanettarlo.
Un video documenta le concitate fasi del fermo, le urla dell’uomo che chiedeva aiuto, e le grida di alcune donne che avevano assistito — “basta, gli fate venire un infarto”. Michele Ferrulli, 51 anni, stava per essere arrestato per schiamazzi, non era un pericoloso delinquente ma solo alterato per qualche bicchiere di troppo. La Procura per gli agenti aveva chiesto sette anni di carcere, oggi quella stessa procura viene accusata dai giudici di essersi fatta influenzare dalla “vox populi” su “un pestaggio”.
A prendere alla lettera le motivazioni di questa sentenza, risulta evidente che bisogna ridefinire con una certa urgenza il concetto di violenza per ricalibrare il limite che le “forze dell’ordine” non dovrebbero oltrepassare mentre stanno bloccando un individuo, soprattutto se è disarmato e dunque quasi inoffensivo per quattro poliziotti (contro uno). Scrivono i giudici che “non vi fu alcuna gratuita violenza ai danni di Michele Ferrulli”. Quanto ai “colpi” degli agenti — perché è evidente che ve ne furono — quelli erano necessari per “vincere la resistenza”.
Quindi, in questo caso specifico e chissà in quanti altri, se non viene ritenuta gratuita una certa dose di violenza di fatto può essere giustificata quando non esplicitamente ammessa (tecnicamente si chiama azione di “contenimento” e molte persone l’hanno già sperimentata sulla propria pelle, anche se non esiti tanto drammatici). Questa azione di contenimento, scrivono i giudici, “era giustificata dalla legittimità dell’arresto”. Ma i colpi? Poca roba, se servono per contenere. Secondo i giudici, a differenza di quanto contestato dalla Procura, i poliziotti non utilizzarono “alcun corpo contundente” e infatti la loro “condotta di percosse consistette nei soli tre colpi e sette colpi” assestati “in modo non particolarmente violento”. Quindi dieci colpi. Ma se violenza ci fu “tale condotta di mantenne entro i limiti imposti da tale necessità, rispettando altresì il principio di proporzione”.
Su un altro punto controverso, il presunto schiaffo di un poliziotto ripreso dal video, i giudici non hanno espresso dubbi: “La sola visione del filmato non permette di stabilire con certezza se il gesto sia stato un vero e proprio schiaffo o se sia stato solo il gesto di sollevare l’avambraccio verso Ferrulli per accompagnare una frase rivolta allo stesso”. In buona sostanza per i giudici non c’è nesso tra i colpi assestati dai poliziotti e la morte dell’uomo, se non nella loro “dimensione stressogena”. Del resto, si legge ancora nelle motivazioni, non può dirsi provato “che se l’ammanettamento fosse stato completato dagli imputati senza ricorrere, nella sua parte finale, ai tre colpi e sette colpi, non si sarebbe verificato quell’attacco ipertensivo che per la sua violenza determinò l’arresto cardiaco”. Già, chi può dirlo?
Infine, nelle duecento pagine della sentenza c’è anche la pesante accusa rivolta alla Procura di Milano che si sarebbe fatta influenzare dall’opinione pubblica, “come è ben noto la vox populi è un dato assai pericoloso, perché il suo acritico recepimento nelle aule di giustizia può essere all’origine delle peggiori generazioni della giustizia”. I giudici hanno messo nero su bianco anche alcune considerazioni contro la figlia di Ferrulli, Domenica, perché avrebbe messo in atto un “condizionamento negativo” di alcuni testimoni.
Lei ha replicato così: “Non mi aspettavo nulla di diverso. I filmati sono sotto gli occhi di tutti: mio padre è morto chiedendo aiuto, supplicando i poliziotti di smetterla. Rispetto le sentenze dei giudici ma sento come gratuite e offensive alcune considerazioni sul mio conto. Sono serena, vado a testa alta perché ho fiducia nella giustizia. Ride bene chi ride ultimo”. Lette le motivazioni della sentenza, l’avvocato della famiglia Ferrulli si è detto ancora più fiducioso per l’appello.
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