Camusso: “Una patrimoniale per far ripartire l’Italia”

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«Noi non abbiamo biso­gno delle cami­cie bian­che, ecco i colori della nostra piazza». La prima frase del comi­zio di Susanna Camusso davanti alla straor­di­na­ria pla­tea di San Gio­vanni è come un tweet, che vola veloce verso Firenze, dove è riu­nita la Leo­polda ren­ziana. Il rosso delle ban­diere Cgil con­tro il bianco algido e ine­spres­sivo dei Renzi, delle Boschi, dei Serra. La segre­ta­ria gio­cherà il suo inter­vento tutto sulla con­trap­po­si­zione tra le ricette del pre­si­dente del con­si­glio e quelle del sin­da­cato, rilan­ciando un ter­mine che sem­brava quasi supe­rato: l’uguaglianza. «È una parola antica? – chiede al pub­blico – Noi non lo cre­diamo: il governo deve stare dalla parte dei più deboli, e non dare van­taggi al più forte».

«Que­sta mano­vra non cam­bia verso»

E sì, l’uguaglianza. Camusso usa que­sto con­cetto per riba­dire una richie­sta della Cgil: la patri­mo­niale sulle fami­glie più ric­che, che ser­virà a finan­ziare il suo ambi­zioso Piano del lavoro. «Il nostro è un Paese dise­guale – dice la lea­der Cgil – Il 10% delle fami­glie ha più della metà delle ric­chezze, e nelle mani dell’1% si con­cen­tra il 15% dei patri­moni. In tutti i paesi Ue c’è una tassa sulle ric­chezze: si può e si deve fare, con­cen­tran­dosi sul 5% dei nuclei fami­liari più ric­chi, per rea­liz­zare una vera pro­gres­si­vità e una giu­sti­zia fiscale, ma anche per finan­ziare gli inve­sti­menti di un Piano del lavoro».

Un piano che potrebbe soste­nere, appunto, quella ricetta alter­na­tiva alla “for­mula Renzi”, che «non assi­cura la cre­scita»: «La legge di sta­bi­lità non cam­bia verso – afferma la segre­ta­ria Cgil – Non sarà qual­che taglio e qual­che bonus a creare posti di lavoro. Non sarà l’accordo sullo 0,3% di defi­cit, nè l’abbassamento con­ti­nuo dei salari. Serve un corag­gio diverso: chie­dere all’Europa di poter rico­min­ciare a inve­stire, modi­fi­care i trat­tati Ue, dire no alle delocalizzazioni».

Ma alla Leo­polda da que­sto orec­chio non ci sen­tono: «Ho sen­tito dire che lì ci sareb­bero quelli che creano lavoro – riprende pole­mica Camusso, attac­cando la nuova for­tezza del Pd ren­ziano – Ma con che cosa, con la finanza? E pro­pon­gono per­fino di cam­biare il diritto di scio­pero, per­ché dicono che “costa”».

Per la Cgil, quello che serve, al con­tra­rio, è un altro modo di inve­stire le risorse, anche quelle che sono già a dispo­si­zione: «Renzi ha detto che le imprese non hanno più alibi per non assu­mere, visto che c’è libertà di licen­ziare e sono state detas­sate – pro­se­gue Camusso – Ma io mi chiedo: dav­vero la libertà di licen­ziare qual­cuno crea più posti? E non è incoe­rente aver can­cel­lato solo qual­che mese fa un’analoga detas­sa­zione delle assun­zioni varata da Letta, affer­mando che non aveva fun­zio­nato, e adesso rilan­ciarne un’altra? Ma poi chi detas­siamo? – incalza la numero uno Cgil – La Thys­sen che riduce le pro­du­zioni? La Agnesi che chiude? La Trv? Diamo i soldi pub­blici al call cen­ter che delo­ca­lizza? E magari con i nuovi sgravi si assu­merà qual­cuno per rim­piaz­zare i vec­chi licenziati?».

Il nodo delle risorse, e delle riforme mai fatte. Quelle degli ammor­tiz­za­tori sociali, ad esem­pio, che Renzi ha pro­messo di esten­dere, per tute­lare tutti. «Ma come fa il governo a dire che sono uni­ver­sali, se ha stan­ziato meno soldi di quelli della vec­chia cassa in deroga?», chiede pole­mica Camusso.

«L’articolo 18 è una tutela concreta»

Il tema delle tutele inte­ressa alla Cgil quanto quello dei posti di lavoro: «L’articolo 18 non è un totem ideo­lo­gico – dice Camusso rivolta a Renzi – È una norma che difende il lavo­ra­tore in modo con­creto: gli dà la dignità di cit­ta­dino, per­ché è quella tutela che distin­gue il lavoro ser­vile dal lavoro moderno. Il discorso della “dua­lità” non ci incanta: se si vuole supe­rare la dif­fe­renza tra lavo­ra­tori di serie A e di serie B, i diritti non si devono togliere, ma si devono esten­dere a tutti. E non par­liamo della sola mater­nità, che certo è un bene che il governo voglia assi­cu­rarla a tutte le lavo­ra­trici. Ma par­liamo anche dei riposi, della malat­tia, dell’infortunio. Dob­biamo dotare tutti, anche le par­tite Iva, di tutele dav­vero universali».

La Cgil sa che parla a un pub­blico, quello dei pre­cari, con cui il rap­porto non è stato sem­pre facile: e pro­prio que­ste figure hanno offerto a Renzi e a Grillo le leve per dele­git­ti­mare il sin­da­cato, con l’accusa che difen­de­rebbe solo pen­sio­nati e dipen­denti, i “garan­titi”. Non a caso Camusso ha chie­sto alla Cgil, a tutte le sue cate­go­rie, «uno sforzo di fan­ta­sia, di crea­ti­vità, per andare a par­lare con tutte le tipo­lo­gie del lavoro, dai pre­cari ai disoc­cu­pati, e farle par­te­ci­pare alle mobi­li­ta­zioni: anche chi non può scio­pe­rare o non ne ha i mezzi».

Sem­pre sul pre­ca­riato, «si dovreb­bero can­cel­lare tutti i con­tratti, men­tre pare che il con­tratto a tutele cre­scenti si andrà ad aggiun­gere ai vou­cher, agli asso­ciati in par­te­ci­pa­zione, e alla nuova legge sui con­tratti a ter­mine» (la “Poletti”, ndr). Male anche la pro­po­sta sul Tfr: «Per­ché sono soldi già dei lavo­ra­tori, spac­ciati come un aumento, e ora sco­priamo che l’operazione serve per tro­vare 2 miliardi di cassa, gra­zie alle tasse».

La sfida con il governo è all’inizio, «e non sarà breve». «Non sarà l’ennesima fidu­cia o l’ultimo annun­cio a fer­marci, noi con­ti­nue­remo – ha con­cluso Camusso – Con scio­peri arti­co­lati e con lo scio­pero gene­rale. Il 5 novem­bre con i pen­sio­nati, l’8 novem­bre con i lavo­ra­tori pub­blici, e poi ancora davanti ai can­celli delle fab­bri­che. E con­ti­nue­remo a chie­dere a Cisl e Uil di con­di­vi­dere le nostre pro­po­ste». Con un saluto finale dal sapore vin­tage: «E ora, al lavoro e alla lotta!».



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