La battaglia di Padoan sui calcoli europei Si tenta la strada delle misure espansive
ROMA I metodi usati dalla Commissione Ue per valutare le condizioni della finanza pubblica dei Paesi membri, ed avviare le eventuali procedure d’infrazione, non sono affidabili. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, lo ha ripetuto spesso nelle ultime settimane, sottolineando anche in Parlamento «le gravi debolezze» degli strumenti della sorveglianza europea, che comportano anche il rischio serio di un «avvitamento» delle politiche economiche in una spirale recessiva. Nell’Aggiornamento al Def, trasmesso a Bruxelles, il governo ha fatto un altro passo avanti, alzando i toni di quella che suona quasi come una sfida alla Ue.
Secondo Padoan, «il saldo di bilancio corretto per il ciclo è in condizioni significativamente migliori di quanto non risulti dalle previsioni», viziate, si legge nel documento, «dalla rilevante sottostima» di alcuni fattori. Nel mirino del Tesoro c’è il calcolo del prodotto potenziale, la crescita dell’economia che si può ottenere con il massimo impiego dei fattori produttivi e senza creare inflazione, e del conseguente output gap : la differenza tra il potenziale e la crescita reale. Sono grandezze non osservabili direttamente. E vengono calcolate con metodi che, secondo il Tesoro, presentano forti «criticità», tanto che vengono continuamente riviste a posteriori, in misura anche molto ampia. Ma sono numeri con una valenza politica enorme nelle regole europee perché, filtrando e depurando l’impatto del ciclo economico, danno in automatico la misura delle condizioni strutturali del bilancio, quelle che contano ai fini delle procedure per deficit eccessivo.
Il nostro prodotto potenziale, dice Padoan, è «sottostimato». Il differenziale, l’ output gap , è molto più grande di quello che emerge dai numeri della Ue, che il governo usa per convenzione. E lo stato di fondo del bilancio è molto migliore di quello che appare. Tanto da giustificare misure espansive, anticicliche, ed evitare manovre restrittive che ci farebbero «avvitare» nella recessione. Per sostenerlo, il Tesoro è pronto a portare la recente, copiosa e autorevole letteratura sulla fallacità dei metodi di calcolo del prodotto potenziale, a partire dagli studi della Bundesbank. Anche il nuovo Ufficio Parlamentare di Bilancio, che convalida le previsioni del Tesoro, avrebbe dubbi e dedicherà al calcolo dell’ output gap la prima Nota Metodologica, a giorni. Anche il presidente Bce, Mario Draghi, ha espresso qualche perplessità, sottolineando la tendenza della Commissione a sovrastimare la componente strutturale della disoccupazione, che impatta tanto sul calcolo del prodotto potenziale. Anche la disoccupazione strutturale non è osservabile e viene stimata dalla Ue, in più con sistemi diversi da un Paese all’altro. Per l’Italia, calcolata dalla Commissione come quella di equilibrio, che non crea tensioni sui prezzi (e siamo in deflazione), la disoccupazione strutturale è quasi all’11%, contro il 12,3% reale, ed il 6-7% di prima della crisi. Come se l’impatto della congiuntura non ci fosse. Tre economisti del Cer calcolano che se la disoccupazione strutturale fosse al 9%, il bilancio strutturale italiano sarebbe in pareggio già da quest’anno. Il Tesoro questo non lo dice. Ma non ha dubbi: quei dati «sono difficilmente spiegabili da un punto di vista teorico ed empirico».
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