Il vertice sul clima disertato da Cina e India

Il vertice sul clima disertato da Cina e India

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Quasi un grido di dolore e non solo un invito quello lanciato ieri a New York dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon all’apertura del summit sul clima. «Il mondo deve prendere un altro corso e vi chiedo di mettervi a capo di questo cambiamento», ha detto rivolgendosi ai 150 leader mondiali riuniti nella sede dell’Onu. «Il clima sta cambiando molto più velocemente dei nostri sforzi per affrontarlo. È la minaccia numero uno del secolo», ha sottolineato il presidente degli Usa, Barack Obama. Ma è difficile immaginare risposte rapide e precise nell’incertezza che prevale sul difficile fronte del cambiamento climatico. Dopo il summit fallito di Copenaghen nel 2009 questa è la prima volta che si tenta di affrontare politicamente un problema che pesa sulle economie mondiali ma, prima di tutto, sul futuro del pianeta e dell’umanità. Tuttavia il solo fatto che all’assemblea non partecipino i leader di Cina e India, due dei Paesi con più emissioni di gas serra, fa capire quanto gli obiettivi siano remoti. Da questa consapevolezza è nato il tentativo di Ban Ki-moon di incrinare il muro della freddezza che ancora permane e favorire qualche azione concreta prima dell’appuntamento di Parigi l’anno venturo in dicembre quando si dovrebbe sottoscrivere un nuovo accordo globale sul clima.
«Il nostro è solo un incontro di preparazione», dicono burocraticamente nei corridoi del palazzo dell’Onu. I segnali arrivati dalle varie capitali negli ultimi mesi non sono molto incoraggianti, prospettando già sotto la torre Eiffel la ripetizione del fallimento danese. Così, uscendo dai tradizionali appuntamenti dei negoziati programmati, si cerca di trovare una via che porti concretezza oltre le generose dichiarazioni. Con questa ambizione Ban Ki-moon ha invitato nella Grande Mela non solo i politici ma anche i rappresentanti di vari settori dell’economia e della finanza ritenendo che possano contribuire con idee e iniziative alla lotta contro il riscaldamento globale. Proprio il difficile dialogo tra l’economia e la politica ha finora impedito scelte adeguate; una difficoltà acuita anche da un mondo scientifico non sempre univoco nel fornire precise indicazioni. Il problema è una sfida gigantesca per la scienza ancora limitata nel cogliere con precisione le cause dei fenomeni climatici. Gli stessi autori nel nuovo rapporto dell’Ipcc (gruppo intergovernativo per lo studio sui cambiamenti climatici) mettono in evidenza i limiti delle simulazioni sull’evoluzione futura permessa dagli oltre 40 modelli teorici impiegati. Comunque la ricucitura in corso del buco di ozono sull’Antartide dimostra che qualcosa si può fare, se si vuole. Di certo rimane l’accelerazione di un riscaldamento di cui non si trova traccia nelle registrazioni geologiche delle varie epoche della Terra. Con il contributo delle emissioni generate dalle attività umane la temperatura del pianeta sarebbe destinata a salire di 4-5 gradi entro la fine del secolo se non si attuano interventi di contenimento. Il sogno è di limitare la cifra a soli due gradi per scongiurare catastrofi negli ecosistemi e nella vita dei continenti.
Intanto ieri a New York, dopo la nomina dell’attore Leonardo DiCaprio a rappresentante dell’Onu per i cambiamenti climatici, si è dichiarato l’impegno di estendere a 350 milioni di ettari (un’area più grande dell’India) la superficie di foreste da recuperare per il 2030. In aggiunta un gruppo di investitori internazionali ha garantito che troverà risorse per cento miliardi di dollari al fine di aiutare a ridurre gli impatti dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Ma siamo sempre alle dichiarazioni d’intenti.
Giovanni Caprara



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