Uccisi a fucilate perché chiedevano gli stipendi
Cercavano lo stipendio, hanno trovato la morte. Quella del 38enne Mustafa Neomedim e del 26enne Avdyli Valdet, entrambi kossovari, e del loro ex padrone Gianluca Ciferri (48 anni) sembra una storia di guerra sociale. Piccolo imprenditore edile lui, manovali licenziati in estate e con diversi mesi di arretrato loro. Alle 11 del mattino di ieri, i due si sono presentati nella villetta-laboratorio di Ciferri a Molini Girola, poco sopra Fermo, per chiedere conto delle spettanze mai versate.
L’atmosfera deve essersi scaldata subito, ai carabinieri l’imprenditore ha raccontato che Neomedim e Valdet lo stavano minacciando con un piccone, mentre lui ha fatto in tempo a scendere verso il garage, impugnare una pistola e sparare cinque colpi. Uno è andato a segno subito, e Mustafa è caduto a terra, abbattuto. Avdyli pure era stato colpito, ma è riuscito a scappare per un centinaio di metri, prima di accasciarsi in un campo di girasoli poco distante, davanti agli occhi di un vicino di casa, primo testimone della tragedia.
Davanti alla villetta di Ciferri c’era anche una donna: la moglie di Neomedim, che con la sua auto aveva portato i due uomini fin lì. Non ha fatto in tempo ad accorgersi di niente, lei. La morte di suo marito gliel’hanno dovuta raccontare i carabinieri.
Ciferri, arrestato per duplice omicidio, invoca la legittima difesa: «Mi avevano aggredito, ho dovuto sparare», così avrebbe detto ai militari dell’Arma. Mentre entrava in caserma, sua moglie continuava a gridargli «Cosa hai fatto? Cosa hai fatto?». Lui sembrava non sentire, gli occhi piantati a terra, camminava sorretto da due uomini in divisa. Dopo un primo sopralluogo, è venuto fuori che nel laboratorio c’era una specie di arsenale: pistole e fucili regolarmente denunciati, ma carichi e pronti a sparare.
Gli uomini della scientifica hanno passato l’intera giornata a fotografare e catalogare tracce e indizi. Una pista porta dentro le storie più tragiche che si possono raccogliere nelle sedi sindacali: Neomedim era iscritto alla Cgil e stava cercando di risolvere la situazione degli stipendi non pagati in maniera pacifica, si era persino rifiutato di aprire una vertenza, per non rompere del tutto con Ciferri. Contava di vedere i soldi che gli spettavano, ogni tanto chiamava l’ex padrone per sapere qualcosa, ma tutto veniva sempre rinviato.
«Il lavoro è precario, non viene nemmeno pagato a volte – spiega Maurizio Di Cosmo, segretario provinciale della Cgil – Al di là delle responsabilità penali dell’accaduto, è evidente la drammatica urgenza di dare risposte, reddito e tutela ai lavoratori. Questo episodio è l’ennesimo sintomo di una situazione sociale sempre più difficile».
Il Fermano è terra di piccoli imprenditori, la strada provinciale che dalla A14 porta verso Molini Girola è una costellazione di capannoni più o meno abbandonati. Al bivio per la casa di Ciferri c’è anche una grande fabbrica di Nero Giardini, cattedrale in un deserto di calzaturifici mutilati dalla mancanza di commesse. E non è un caso che, proprio da queste parti, periodicamente si alzino le grida di chi vorrebbe evitare una crisi diplomatica con la Russia.
Non per una motivazione umanitaria, ma per affari: le scarpe prodotte da queste parti, dall’altra parte degli Urali, pare abbiano ancora un discreto mercato. Intorno a queste fabbrichette di scarpe, altri stabilimenti: un indotto sempre più piccolo e sempre più povero. Di Mustafa e Avdyli ce ne sono tanti da queste parti: si offrono come uomini di fatica per quattro spicci e poi magari non vengono nemmeno pagati: non è una cosa rara, dicono che bisogna avere pazienza. Il conto sempre più salato di una crisi di nervi, oltre che economica, si arricchisce così di altri due cadaveri.
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