Quello sputo da un immigrato La vocazione xenofoba di Jimmie

Quello sputo da un immigrato La vocazione xenofoba di Jimmie

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STOCCOLMA — L’uomo del giorno riposa nella sua villa fuori Stoccolma, open space e piscina in giardino. Dopo aver ossessionato senza tregua gli svedesi per quattro mesi, ora è lui che non vuole essere disturbato. Jimmie Akesson, 35 anni, è la promessa mantenuta delle elezioni politiche di domenica 14 settembre: ha condotto il suo partito, Svedesi democratici, al terzo posto, più che raddoppiando i voti: dal 5,7% del 2010 al 12,9%. È un risultato che scompagina tutti i calcoli del vincitore, il socialdemocratico Stefan Lofven, e dello sconfitto, il premier uscente moderato Fredrick Reinfeldt. Subito Akesson si è calato nel ruolo dello statista responsabile, auto proclamandosi «l’ago della bilancia per il futuro della Svezia». Non sarà così. Per le forze politiche tradizionali e, almeno per ora, per la maggior parte dell’opinione pubblica svedese le «condizioni per il dialogo» del giovane leader sono semplicemente irricevibili. La ragione d’essere di un partito definito ora populista, ora xenofobo, ora addirittura razzista è, di fatto, una sola: tagliare quel miliardo di euro che lo Stato stanzia per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei migranti in generale.
Una volta Akesson ha raccontato che quando era bambino «il figlio di un profugo» lo fece cadere dalla bicicletta e, non contento, gli sputò addosso. Difficile dire se quell’episodio rivelò al giovinetto Jimmie la sua vocazione, si potrebbe dire la sua missione, mentre si strofinava le ginocchia sbucciate in una stradina di Solvesborg, la città immersa nella Svezia industriale del sud dove è cresciuto. Sta di fatto che nel 1995, a 16 anni, si iscriveva alla sezione giovanile del partito moderato, allora schiacciato dall’egemonia degli eredi socialdemocratici di Olof Palme.
Il Paese, però, era ancora segnato dalla grave crisi economica e finanziaria esplosa agli inizi degli anni Novanta. Cominciava a crescere la spinta verso un’opposizione più radicale all’establishment. Nelle periferie dei centri industriali le vecchie famiglie di operai lasciavano il posto ai migranti provenienti soprattutto dai Balcani. La reazione dei giovani come Akesson fu scomposta e politicamente disordinata: spuntarono le teste rasate, gli skinhead, le svastiche, gli slogan violenti. Jimmie ingaggiò una battaglia furibonda su due fronti: con gli studi all’Università di Lund cercando di districarsi tra gli esami di scienze politiche e, contemporaneamente, con i gruppuscoli di estremisti e di agitatori. Con i titoli accademici l’esito è stato mediocre: Akesson non è riuscito a laurearsi, finendo con il trovare una prima occupazione come web designer. Ma con la politica, successo incontestabile. A 19 anni viene eletto consigliere comunale a Solvesborg e si immerge nel torbido mare dei movimenti da cui nasce poco dopo la formazione Svedesi democratici. Nel 2000, si racconta, sembrava deciso a lasciare, convinto che fosse impossibile cavare qualcosa di politicamente sensato da militanti che si scambiavano il saluto nazista e che addirittura si tatuavano il simbolo delle Ss sul petto. La sfida decisiva, probabilmente, l’ha vinta in quegli anni. Ispirato dall’esperienza del leader populista olandese Pym Fortuyn, impressionato dal suo omicidio e poi da quello del regista Theo Van Gogh, quest’ultimo per mano di un islamista radicale, Akesson ripulì il partito dalle ferraglie nazi-fasciste. Piano piano lo portò nel vivo del disagio diffuso tra i ceti operai, i pensionati e, nello stesso tempo, tra le fasce più agiate. L’Islam diventa «la minaccia più grave nella storia recente della Svezia», gli immigrati «la rovina» del sistema di protezione sociale più invidiato di Europa. Primo salto nelle elezioni del 2010: 5,7% dei voti e ingresso nel Parlamento. Fino al boom di domenica scorsa.
Qualcuno ha commentato che l’uomo nuovo della politica svedese e, a questo punto, anche europea, avrà festeggiato con una bella puntata online. Poche settimane fa ha bruciato 500 mila corone, più di 50 mila euro, con le scommesse via Internet: una passione che condivide con la sua compagna Louise, da cui ha avuto un figlio otto mesi fa. Anche un gruppo di disoccupati iraniani domenica sera, mentre gli exit poll annunciavano l’avanzata di Akesson, si giocavano a carte i soldi del sussidio sociale, nel centro culturale di Husby, periferia di Stoccolma.
Giuseppe Sarcina



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