Il sindacato batte un colpo

Il sindacato batte un colpo

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Final­mente il sindacato si sve­glia e trova le parole per dire la verità. Renzi «come la That­cher» è sbot­tata la lea­der della Cgil, Susanna Camusso. «Il con­tratto a tutele pro­gres­sive è una presa in giro» ribatte il lea­der della Fiom, Mau­ri­zio Lan­dini. Giu­dizi chiari, netti, sem­plici da capire, che com­pen­sano le troppe timi­dezze, le este­nuanti attese, le incom­pren­si­bili aper­ture di cre­dito offerte in que­sti mesi.

Sono dovuti uscire allo sco­perto tutti i nostri that­che­riani di com­ple­mento per­ché le orga­niz­za­zioni del mondo del lavoro rea­gis­sero all’altezza della posta in gioco. Dalla cam­pa­gna estiva di Alfano con­tro l’articolo 18, alla minac­cia del decreto legge sul Jobs act del pre­mier davanti al par­la­mento, con tutta la nomen­cla­tura ren­ziana a com­porre il coro della neces­sa­ria e urgente libe­ra­liz­za­zione del mer­cato del lavoro. Libe­ri­sti d’ogni spe­cie e pro­ve­nienza, tra­smi­grati dal Pd ber­sa­niano verso più ade­guate sponde cen­tri­ste, come il pro­fes­sor Ichino, o come i pasda­ran del catto-liberismo alla maniera dell’ex mini­stro del lavoro Sacconi.

Eppure era tutto abba­stanza evi­dente fin dall’inizio. Da quell’inno a Mar­chionne quando il futuro presidente-segretario era ancora sin­daco di Firenze, all’ideologia “Leo­polda” del merito e dell’elogio dell’imprenditore nasco­sto in cia­scuno di noi ai tempi delle pri­ma­rie, fino al buon­giorno Ita­lia con quel decreto Poletti che infi­lava il col­tello nella ferita del pre­ca­riato. Non era dif­fi­cile pre­ve­dere la dire­zione di mar­cia del governo. Tut­ta­via, nono­stante il mar­tel­lante ritor­nello con­tro i sin­da­cati, indi­vi­duati come la causa prin­ci­pale dell’umiliante con­di­zione delle classi lavo­ra­trici nel nostro paese, i ber­sa­gli pre­di­letti rea­gi­vano bor­bot­tando, come fos­sero ipno­tiz­zati dagli 80 euro che, oltre­tutto, già si pre­sen­ta­vano come una carta elet­to­rale che pre­sto avrebbe recla­mato la con­tro­par­tita del blocco dei con­tratti del pub­blico impiego.

La forte rea­zione sin­da­cale, con l’annuncio di mani­fe­sta­zioni e scio­peri nelle pros­sime set­ti­mane, ha pro­vo­cato l’immediata, ber­lu­sco­niana replica del pre­si­dente del con­si­glio. E’ entrato nei tele­gior­nali della sera con un irri­dente, ammic­cante video­mes­sag­gio (il Tg7 lo ha tra­smesso inte­gral­mente, come si faceva ai vec­chi tempi con le video­cas­sette). In mani­che di cami­cia si è sca­gliato con­tro la Cgil e com­pa­gni, a suo dire arte­fici dei salari di povertà, della pre­ca­rietà («dove era­vate voi quando si è pro­dotta l’ingiustizia tra chi un lavoro ce l’ha e chi no?»). Niente di nuovo, solo la con­ferma del rove­scia­mento della realtà. Come se per capire come siamo arri­vati a rispol­ve­rare con­di­zioni di lavoro otto­cen­te­sche biso­gnasse inter­pel­lare i sin­da­cati anzi­ché le poli­ti­che eco­no­mi­che dei governi che hanno basto­nato sti­pendi, pen­sioni, welfare.

Natu­ral­mente non sfug­gono respon­sa­bi­lità e limiti di chi avrebbe dovuto capire i colos­sali cam­bia­menti pro­dotti dalla ristrut­tu­ra­zione capi­ta­li­sta e met­tere in campo ade­guate con­trof­fen­sive. Il sindacato vive una crisi sto­rica, è diviso e sem­pre meno rap­pre­sen­ta­tivo. Ma qua­lun­que nuova coa­li­zione sociale volesse opporsi a que­sta nuova destra, poli­tica e sociale, deve augu­rarsi che il sin­da­cato torni a bat­tere un colpo.



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