by redazione | 18 Settembre 2014 9:56
Se al referendum per l’indipendenza della Scozia dovesse vincere il sì, ma anche se il voto per l’indipendenza si avvicinasse al 50 per cento, si aprirebbe una lunga stagione,a livello europeo, di “secessioni” dallo Stato-nazione. Innanzitutto la Catalogna, dove si voterà tra poco più di un mese. A differenza della Scozia, questo referendum non è riconosciuto legittimo da Madrid e una più che probabile vittoria del sì creerebbe una tensione politica di non facile gestione. A seguire le Fiandre dove è in atto uno scontro con lo Stato centrale da diversi decenni, che ha portato allo stallo il parlamento belga da più di due anni, incapace di formare un governo. Last but not least, il nostro Veneto, dove più forte e radicata la domanda di indipendenza e potrebbe trovare questa volta la determinazione per rendere concreta la proposta di referendum della Lega Nord/Liga Veneto, che pochi mesi fa sembrava velleitaria. E sicuramente altre Regioni europee si avvieranno su questo cammino che ha un comune denominatore: lo sganciamento delle aree ricche dagli Stati nazionali.
La storia del ’900 ci insegna che solo le aree ricche, relativamente al contesto nazionale, sono riuscite a sganciarsi dallo Stato centrale. In alcuni casi la secessione è stata conseguita con mezzi pacifici (è il caso della Boemia dalla Cecoslovacchia), in altri ha scatenato una lunga guerra, come nel caso della ex-Jugoslavia dove la spinta secessionista è venuta dalle due regioni più ricche, la Slovenia e la Croazia, provocando l’implosione di tutta la nazione. Ma, il Kosovo, la regione più povera della ex-Jugoslavia, è arrivato all’indipendenza solo grazie alla guerra della Nato contro la Serbia.
Oggi il fenomeno della secessione di aree e regioni dallo Stato nazionale assume una valenza diversa, legata alla attuale crisi economica, sociale e politica che sta vivendo l’Europa. In altri termini: siamo di fronte alla fuga dalla Grande Recessione di aree, regioni e classi sociali. La Scozia, come la Catalogna, le Fiandre ecc. sono le aree relativamente più ricche dei loro rispettivi paesi di appartenenza, ma sono anch’esse colpite dalle politiche di austerity, e quindi dal taglio del welfare ed aumento delle imposte. Con l’indipendenza puntano a sganciarsi dal “debito pubblico” insostenibile, dai dictat di Bruxelles e diventare più ricche. La Scozia, come è stato calcolato, se fosse indipendente diventerebbe la quinta nazione al mondo per reddito pro-capite, e con grandi prospettive di crescita economica, grazie alle sue immense risorse di idrocarburi ed alla crescente esportazione di alcolici (whisky) in tutto il mondo.
Anche se con valori diversi, anche la Catalogna avrebbe un vantaggio economico dall’uscita dalla Spagna, e potrebbe ridurre l’attuale alto tasso di disoccupazione. Sono queste le ragioni che rendono oggi così popolare la secessione in queste aree, più che le identità etniche su cui si basavano le vecchie spinte indipendentiste.
“Si salvi chi può “, è la parola d’ordine che attraversa tutto il Vecchio Continente, provocando disgregazione sociale e politica, frutto non solo della pesante crisi economica, ma anche e soprattutto della mancanza di una prospettiva, di una visione chiara e condivisa del nostro futuro. Ed è a questo punto che diventa cruciale il ruolo della Unione europea. Se questa fragile istituzione sarà in grado di rinforzarsi, di andare al di là dei dictat degli oligopoli finanziari e della ideologia neoliberista, questa ondata di secessioni potrebbe non costituire un gran problema. In fondo, gli stati-nazione sono ormai inadeguati a reggere l’urto della globalizzazione e conservano forza e prestigio solo quelli legati alle grandi potenze economiche e militari (gli Usa, la Cina,la Russia, ecc). Ma, se l’Ue continuerà nella strada suicida delle politiche di austerity, se non sarà capace di dare una risposta al debito pubblico insostenibile, allora la spinta secessionista potrebbe assumere un peso soverchiante per i fragili equilibri.
Quale Europa vogliamo costruire è diventata questione ancora più cruciale e determinante di come l’avevamo percepita prima delle elezioni. Malgrado la presidenza di turno italiana, nei 1000 giorni di Renzi non se ne fa cenno, a conferma dell’estremo provincialismo del governo italiano e della sua inadeguatezza di fronte alle sfide della Grande Recessione. Ma, esistono forze politiche e sociali nella Ue in grado di unirsi per arginare questa inevitabile deriva?
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