Lo scontro forzato di Poletti

by redazione | 21 Settembre 2014 18:25

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Da buon «coo­pe­ra­tore» non ama gli scon­tri, Giu­liano Poletti. Pre­fe­ri­sce di gran lunga «tro­vare le solu­zioni», come ha fatto nella sua prima vita in cui da amico di Ber­sani si è inven­tato il com­pro­messo sto­rico fra le sue coop rosse e quelle bian­che per rilan­ciare il mutua­li­smo ai tempi della crisi. Il suo pro­ver­biale prag­ma­ti­smo emiliano-romagnolo però ora dovrà essere messo da parte per por­tare avanti la sua «seconda vita», quella da mini­stro del governo Renzi. Per­ché anche lui è ormai con­sa­pe­vole che «lo scon­tro» con i sin­da­cati ci sarà.

Sull’articolo 18 «l’accelerazione di Renzi è dovuta anche alla man­cata cre­scita. Quando si è capito che la ripresa pre­vi­sta a fine anno non sarebbe arri­vata, ha deciso di cam­biare passo per cavare la mac­china Ita­lia dal buco in cui è ancora inca­strata. Il tema che ha deciso di affron­tare è quello delle riforme, quindi anche della riforma del lavoro e con­se­guen­te­mente dell’articolo 18». Su que­sto rovente tema la posi­zione del mini­stro del Lavoro è total­mente laica: «C’è chi dice che è deci­sivo per­ché gli stra­nieri ven­gano ad inve­stire da noi; c’è chi dice che non cam­bia niente; c’è chi dice che senza ci saranno milioni di licen­zia­menti. Ecco, noi dovremo deci­dere come muo­verci, ma una cosa la posso garan­tire: la rein­te­gra in caso di licen­zia­mento per discri­mi­na­zione non è in discus­sione», spiega senza mostrare preferenze.

Gio­cando in casa, alla Festa de l’Unità di quella Modena dove le coop sono ancora l’asse por­tante della città, capaci di det­tare equi­li­bri e svolte poli­ti­che e dove il ren­zi­smo ha fatto brec­cia fra i coo­pe­ra­tori — «Renzi la pensa come noi, Ber­sani come i sin­da­cati», sot­to­li­nea uno di loro – anche se poi sin­daco e segre­ta­rio cit­ta­dino non lo sono, Giu­liano Poletti trat­teg­gia la sua sco­moda posi­zione: di chi ha scritto l’emendamento che ha fatto applau­dire Sac­coni e Ichino e ora dovrà affron­tare altri dif­fi­cili pas­saggi. Con­vinto però di non subirli.

«Il 29 set­tem­bre ci sarà la Dire­zione del Pd per discu­tere di riforma del lavoro e legge di sta­bi­lità. Io non ne fac­cio parte, ma se mi invi­tano ci vado volen­tieri», rac­conta pre­no­tan­dosi per un posto al tavolo di chi deci­derà, cer­cando di rita­gliarsi il ruolo che meglio gli si addice: il media­tore. «Sui tempi di appro­va­zione della delega noi l’8 otto­bre abbiamo a Milano il ver­tice euro­peo sul lavoro. È nor­male che per quella data vor­remmo avere l’approvazione al Senato. Sicu­ra­mente alla Camera potranno esserci modi­fi­che senza scon­tri, tro­vando la sin­tesi. Come il Decreto lavoro ha ini­ziato alla Camera e poi è stato modi­fi­cato al Senato, al con­tra­rio suc­ce­derà ora. La cosa impor­tante è non fare la fine del col­le­gato Lavoro (di Sac­coni, ndr) che ebbe 8 pas­saggi parlamentari!».

La cosa che gli preme più fare in que­sti giorni è spie­gare il testo attuale — l’emendamento in cui l’articolo 18 non è nean­che citato – e il cam­mino di un prov­ve­di­mento così com­plesso come una delega. «Abbiamo già avviato un lavoro pre­pa­ra­to­rio per esem­pio sulle nuove coper­ture degli ammor­tiz­za­tori sociali: per esten­dere l’Aspi ai co?.co?.pro o per la mater­nità per i pre­cari ser­vono coper­ture che devono essere pre­vi­ste nella legge di stabilità».

Oltre all’articolo 18, i capi­toli deli­cati – e cri­ti­cati dai sin­da­cati e dalla sini­stra – della delega sono due: «Per quel che riguarda il deman­sio­na­mento abbiamo sem­pli­ce­mente deciso di nor­marlo, di dar­gli regole che tute­lino lavo­ra­tore e impresa. Per­ché la verità è che il deman­sio­na­mento avviene già in tutte le aziende che sono in crisi per difen­dere il lavoro, ma non è rego­lato». Sui vou­cher invece «deci­de­remo a quali set­tori esten­derli. La grande novità riguarda la loro trac­cia­bi­lità: in que­sto modo com­bat­tiamo il lavoro nero. Nella cura delle per­sone, ad esem­pio: si paghe­ranno i con­tri­buti e l’assicurazione».

Un con­ten­tino alla sini­stra e alla Fiom arriva invece dai con­tratti di soli­da­rietà, cavallo di bat­ta­glia di Lan­dini. «Faremo quelli espan­sivi: se un’azienda vuole ingran­dirsi ma non ha le pos­si­bi­lità, potrà chie­dere ai pro­pri addetti di lavo­rare meno tutti un poco per per­met­tere di assu­mere degli altri, natu­ral­mente incen­ti­vando la cosa fiscalmente».

La chiusa del dibat­tito comun­que lo riporta alle radici, alla natura del coo­pe­ra­tore. «Io non sono ideo­lo­gico, il decreto lavoro, ad esem­pio, non è la Bib­bia. Se va male lo cam­bio. Finora i risul­tati sono buoni: +16% appren­di­stato e più 1,5% sui tempi inde­ter­mi­nato che mi dice­vano dove­vano spa­rire. Ma è vero che ho scelto di ren­dere più facile il tempo deter­mi­nato per­ché pen­savo anche che con un po’ di ripresa sarebbe stato il con­tratto che le aziende avreb­bero scelto per assu­mere». Una natura che lo porta ad auspi­care un con­fronto con le parti sociali, seb­bene in salsa renziana.

«Verrà il tempo del con­fronto con i sin­da­cati. Le forme le tro­ve­remo, ma il punto vero è la sostanza: come si fanno le cose, quando si decide. Anche per­ché ci sono milioni di cit­ta­dini e lavo­ra­tori non rap­pre­sen­tati in una asso­cia­zione: noi dob­biamo par­lare e deci­dere anche per quelli. Il punto cru­ciale è che par­le­remo con tutti ma poi ci pren­de­remo la respon­sa­bi­lità poli­tica di decidere».

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