by redazione | 2 Settembre 2014 9:02
LE PRIME carte desecretate dal decreto Renzi sulle stragi sono del ministero degli Affari Esteri. Consultabili da ieri presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, svelano risvolti inediti della diplomazia segreta internazionale sviluppatasi attorno al caso Ustica. Migliaia di fascicoli sui quali i timbri «segreto » e «segretissimo» si sprecano in un affastellarsi di protocolli riservati, dal Sismi che si lamenta «della attività criminali » di Gheddafi che invia i killer ad uccidere i dissidenti riparati all’estero. Alle richieste dai toni ricattatori che Tripoli avanza a Roma per ottenere il risarcimento dei danni per le mine disseminate in Libia dagli italiani durante la Seconda Guerra. Da queste prime carte desecretate s’intravede quel “Muro di gomma” – di cui ha parlato il regista Marco Risi nel 1991 – contro il quale per così tanto tempo è rimbalzata la verità sulla strage di Ustica. Ma il mistero di quel volo tirato giù da un missile nel cielo di Ustica il 27 giugno del 1980, con 81 persone a bordo, resta.
BACCOUCH E LA PISTA LIBICA
Il 3 maggio 1992, dodici anni dopo la strage, nel 1992, l’ambasciata del Cairo informa il ministero degli Esteri che il giudice Rosario Priore ha chiesto e ottenuto che venga interrogato dagli egiziani l’ex primo ministro libico Abdel Hamid Baccouch. Quest’ultimo conferma che «il bombardamento dell’aereo dell’Itavia » è opera «di un aereo libico per ordine diretto di Gheddafi». Secondo Baccouch, «il presidente libico, da lui considerato elemento mentalmente squilibrato avrebbe personalmente diretto una serie di attentati terroristici di cui la strage di Ustica rappresenta solo un episodio anti-italiano organizzato come reazione all’azione italiana di garanzia della neutralità di Malta che annullava il controllo esclusivo da lui tentato sul primo ministro maltese Dom Mintoff».
LA CONFUSIONE SUI ROTTAMI
L’ambasciatore di Tripoli, Alessandro Quaroni, invia decine di telex classificati “segreto” ricostruendo nei dettagli l’escalation delle versioni libiche prima sull’abbattimento dell’Itavia, poi sul misterioso incidente del Mig libico schiantatosi sui monti della Sila in quei giorni. Ecco una sintesi delle sue relazioni top secret. Per la verità ufficiale, scrive Quaroni, l’aereo è caduto un mese dopo la strage di Ustica, a luglio. Ma dai documenti ora disponibili emerge con tutta evidenza quanta disponibilità e fretta le autorità italiane abbiano messo nello sbarazzarsi del corpo del pilota, reclamato dai libici che sostengono trattarsi di un aviatore esperto rimasto vittima di un improvviso malore che lo avrebbe portato fuori rotta. Il carteggio custodito e coperto finora da massima segretezza è tutto un susseguirsi di raccomandazioni alla «sollecitudine» e di inviti ad assecondare la richiesta dei libici di una propria commissione ispettiva che viene accolta in Italia e dalla quale si riceverà poi la verità su quell’incidente.
IL GIALLO DEI VOLI
In un inedito e scottante “Memorandum” del 2000 redatto dai consiglieri diplomatici della Farnesina e dall’intelligence, c’è tutta la storia delle relazioni tra i nostri governi e quelli del resto del mondo. I presidenti del Consiglio Massimo D’Alema e Giuliano Amato, in particolare, si rivolgono alle più alte autorità francesi, americane e libiche per chiedere di fare luce sulla strage. Buona parte del documento è dedicato al balletto di verità e smentite circa l’esistenza di una intensa attività di traffico militare nel Tirreno nella note del 27 giugno 1980.
LE RESISTENZE DEGLI USA
È ancora il “Memorandum” a ricostruire la cronistoria delle bugie e delle mezze verità degli Usa. In un documento del 3 luglio 1980, infatti, gli americano affermavano che «nell’area dell’incidente non vi era alcuna nave né aereo statunitense, ivi compresi quelli della sesta flotta». Risulta al contrario non solo il movimento di aerei americani ma anche di altri non identificati perché privi di sigla ma decollati da portaerei americani o francesi. Gli Usa, tuttavia, continueranno a sostenere il fermo diniego anche negli anni successivi, anche di fronte all’evidenza fino a negare l’esistenza di registrazioni radar. A smentirli era però il comandante della loro portaerei Saratoga che sosteneva di aver notato «un traffico aereo molto sostenuto nell’area di Napoli soprattutto in quella meridionale: sul radar abbiamo visto passare molti aerei».
IL MISTERO DEL CASCO
Una informativa declassificata della Farnesina inviata al ministro degli Esteri, rivela che un casco con la scritta John Drake, ritrovato in mare, vicino al luogo in cui precipitò il Dc 9, era da attribuire a un pilota americano che, decollato da un mezzo navale, aveva dovuto lanciarsi in mare «qualche tempo» prima dell’incidente di Ustica. Il casco era finito all’aeroporto palermitano di Boccadifalco insieme con altri reperti ripescati in mare a Ustica. Ma è sorprendente quel che accadde dopo: il casco seguì gli altri reperti quando furono trasferiti da Palermo a Napoli «ma è andato smarrito o con più probabilità è stato fatto sparire».
L’ITALIA E IL COLONNELLO
A febbraio del 1980, di fronte alle autorità nordafricane che premono per una visita in Italia di Gheddafi, il ministero degli Esteri frena, imbarazzato. Tuttavia sono passi felpati e dinieghi attendisti per non urtare la suscettibilità del Colonnello. L’allora ministro degli Esteri Franco Malfatti raccomanda «prudenza» ai diplomatici che trattano con i libici.
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