Sabbie mobili per Obama
«Che Dio benedica le nostre truppe, che Dio benedica gli Stati uniti d’America»: con queste parole (che invitiamo Papa Francesco a commentare) si è conclusa ieri notte la solenne «Dichiarazione sull’Isis», con cui il presidente Obama, in veste di «Comandante in capo», si è rivolto ieri sera non solo ai suoi concittadini ma al mondo intero.
L’America è «benedetta» perché si assume i compiti più gravosi, a partire dalla «responsabilità di esercitare la leadership». In «un mondo incerto, la leadership americana è l’unica costante». È infatti l’America che ha «la capacità e volontà di mobilitare il mondo contro i terroristi», che ha «chiamato a raccolta il mondo contro l’aggressione russa», è l’America che può «debellare l’epidemia di Ebola». Con questi toni, da predicatore medioevale all’epoca della Peste Nera («l’aggressione russa», che così sembra messa sullo stesso piano dell’epidemia di Ebola), il Presidente lancia la nuova crociata contro lo «Stato islamico dell’Iraq e della Siria», avvertendo che «ci vorrà tempo per sradicare un cancro come quello dell’Isis». Nonostante tutto quello che ha fatto finora l’America per combattere il terrorismo, sottolinea, «abbiamo ancora di fronte una minaccia terroristica». Ciò perché «non possiamo cancellare ogni traccia del male dal mondo».
Con questa premessa, che ricorda le crociate del repubblicano Reagan contro l’«impero del male» (l’Urss) e del repubblicano Bush contro «il nemico oscuro che si nasconde negli angoli bui della Terra» (al Qaeda), il democratico Obama ha enunciato «la strategia degli Stati uniti per sconfiggere l’Isis», articolata in quattro punti. «Una sistematica campagna di attacchi aerei contro l’Isis», in Siria così come in Iraq. Un «accresciuto appoggio alle forze che combattono l’Isis sul terreno»: a differenza che in Iraq e Afghanistan gli Usa non invieranno ufficialmente forze di terra, ma consiglieri e istruttori (altri 475 arriveranno in Iraq), finanziando e armando, con un’apposita legge del Congresso, forze irachene e curde e, in Siria, quelle che combattono sia contro «il regime di Assad», sia contro «gli estremisti come l’Isis». Il terzo punto sarà focalizzato ad «attingere alle nostre sostanziali capacità di controterrorismo per prevenire attacchi dell’Isis»: ciò avverrà lavorando in stretto contatto con i partner (compreso Israele, disponibile a condividere le informazioni della propria intelligence).
Infine, «fornire assistenza umanitaria agli innocenti civili che l’Isis caccia dalle proprie case». Gli Usa hanno già costituito «un’ampia coalizione di partner», che fornisce «miliardi di dollari di assistenza umanitaria, armi e sostegno alle forze di sicurezza irachene e all’opposizione siriana». Quella che l’amministrazione Obama ha lanciato non è una strategia che il presidente è costretto ad autorizzare dopo aver sottovalutato la minaccia dell’Isis (secondo una diffusa vulgata), ma una strategia costruita negli anni. Come già documentato, i primi nuclei del futuro Isis si formano quando, per rovesciare Gheddafi in Libia nel 2011, la Nato sotto comando Usa finanzia e arma gruppi islamici fino a poco prima definiti terroristi.
Dopo aver contribuito a rovesciare Gheddafi, passano in Siria per rovesciare Assad. Qui, nel 2013, nasce l’Isis che riceve armi, finanziamenti e vie di transito da Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Turchia e Giordania, nel quadro di un piano coordinato dalla Cia. Nel maggio 2013, un mese dopo aver fondato l’Isis, Ibrahim al-Badri — il «califfo» oggi noto col nome di battaglia di Abu Bakr al-Baghdadi — incontra in Siria il senatore John McCain, incaricato da Obama di svolgere operazioni segrete per conto del governo (v. foto sul manifesto del 10 settembre).
L’Isis lancia poi l’offensiva in Iraq, quando al-Maliki sta prendendo le distanze da Washington, avvicinandosi a Cina e Russia. Il reale scopo della strategia di Obama è la demolizione della Siria e la rioccupazione dell’Iraq. Inoltre, impegnando gli alleati europei (tra cui l’Italia) sul nuovo fronte mediorientale e allo stesso tempo su quello orientale contro la Russia, gli Stati uniti rafforzano la loro influenza sull’Unione europea, che vogliono unita solo se resta sotto leadership Usa.
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