Riformare i corpi di polizia, senza licenziare nemmeno un agente
Le rivendicazioni economiche e salariali dei poliziotti e dei carabinieri sono sacrosante così come lo sono quelle di qualunque altra categoria di lavoratori. Chiunque si occupi di diritti umani sa che soltanto agenti sereni e gratificati anche dal punto di vista economico svolgeranno con meno tensione il loro lavoro. La tensione d’altronde si va sempre a ripercuotere sull’utenza, nel caso delle forze dell’ordine essa ricade su tutti noi. Dal punto di vista dei diritti umani il ragionamento non fa una piega.
Le richieste e la proteste dei sindacati di Polizia avvengono nei giorni della morte tragica di Davide Bifolco a Napoli. C’era una antica tradizione anglosassone che era quella dei bobbies, dei poliziotti di comunità. Non avevano armi da sparo. Il poliziotto che fa prevenzione nei quartieri deve essere una persona di cui la gente si fida. La parola fiducia è la parola chiave. Quando le Forze di Polizia negano la fiducia rompono il patto costituzionale che esiste tra il potere pubblico e la cittadinanza. In Italia va ricostruito un rapporto fiduciario tra la popolazione e le Polizie, altrimenti la democrazia non potrà dirsi compiuta. Nelle strade italiane, nelle caserme, nei commissariati, nelle carceri ha spesso prevalso la sotto-cultura della asimmetria di potere anziché quella democratica fondata sulla fiducia.
Le forze politiche, chi più e chi meno, non hanno creato argine contro questa sotto-cultura. Le polizie dovrebbero essere i primi organismi di garanzia dei diritti umani in un paese a Costituzione avanzata. Invece tendono a immedesimarsi con il potere anziché con i cittadini nel cui nome e nel cui interesse devono viceversa operare. Quando un uomo in divisa e uno senza si incontrano per strada, ovviamente non durante una rapina ma nel normale svolgimento delle funzioni di controllo pubblico, il primo dovrebbe assicurarsi la fiducia del secondo. Dovrebbe sorridere e non grugnire. Dovrebbe sempre dare e di conseguenza pretendere rispetto. Dalla vicenda napoletana dovremmo uscirne regolamentando al minimo l’uso delle armi. Abbiamo vissuto un periodo in cui i Sindaci nella versione di sceriffi hanno armato finanche le polizie municipali. Meno armi girano meno morti ci sono.
Detto questo, in epoca di spending review piuttosto che bloccare i salari, bisognerebbe invece azzardare un’ipotesi di risparmio sicuro che è consistente nell’unificare tutte le forze di Polizia – Carabinieri (dipendenti dal ministero della Difesa), Polizia di Stato (dipendente dal ministero dell’Interno), Corpo Forestale dello Stato (dipendente dal ministero dell’Agricoltura) e Guardia di Finanza (dipendente dal ministero dell’Economia)– evitando sovrapposizioni territoriali e funzionali. Un discorso a parte andrebbe fatto per la Polizia Penitenziaria (dipendente dal ministero della Giustizia). I cultori del monetarismo ci hanno spiegato in questi ultimi anni che non dobbiamo essere conservatori rispetto a conquiste secolari nel mondo del lavoro e della democrazia, che la modernità significa accettare trasformazioni e compressioni di diritti.
E allora che la politica osi. Con molto meno e senza calpestare alcun diritto. Secondo statistiche internazionali recenti (fonte Onu) l’Italia ha un numero di poliziotti tra i più alti al mondo. Circa 450 tra poliziotti, carabinieri e finanzieri ogni 100 mila abitanti. In Europa soltanto Russia e Turchia ci superano abbondantemente. I nostri numeri sono più alti ma vicini a quelli di Portogallo, Spagna e Grecia, giovani democrazie reduci da non troppo lontane dittature fasciste. Sono invece distanti dalle democrazie europee consolidate. In Francia e Germania vi sono poco meno di 300 poliziotti ogni 100 mila persone. Nel Regno Unito la percentuale è la metà di quella italiana In Svezia è di poco più di 200 poliziotti per 100 mila residenti.
Abbiamo cinque polizie su base nazionale più numerosissimi corpi di Polizia locale, senza contare le guardie giurate private che troviamo a protezione di banche, aeroporti, metropolitane. Circa 120 mila sono i Poliziotti di Stato. 115 mila i Carabinieri. 70 mila i Finanzieri. 20 mila gli addetti del Corpo Forestale dello Stato. 45 mila i poliziotti penitenziari. Posto dunque che i numeri del personale sono altissimi e che vanno razionalizzati piuttosto che aumentati si deve osare nel pensare a una unificazione delle forze di Polizia, senza licenziare neanche un poliziotto.
Un discorso che non deve riguardare la Polizia Penitenziaria. In questo caso si potrebbe optare per il modello olandese così da renderlo del tutto a ordinamento civile. Già oggi la Polizia penitenziaria non può portare armi all’interno delle carceri. Il passo successivo dovrebbe essere quello diretto a trasformarla in un Corpo di funzionari penitenziari con competenze di varia natura e non di sola Polizia.
L’unificazione degli altri quattro corpi determinerebbe la smilitarizzazione dei Carabinieri, oggi parte dell’Esercito italiano, e della Guardia di Finanza. Favorirebbe un uso più razionale delle risorse umane da parte delle procure. Un Corpo unico di Polizia, seppur con sezioni specializzate, consentirebbe la organizzazione di una formazione unica nonché di modalità di accesso alla carriera non differenti. Determinerebbe un risparmio notevole viste le tante strutture (caserme ad esempio) che si doppiano nei quartieri. Ovviamente tutti i servizi amministrativi (il rilascio passaporti ad esempio) andrebbero assegnati ai Comuni ai quali va chiesto invece di non trasformare i vigili urbani in altri poliziotti ma di restituirli al ruolo antico e utile di garanti del traffico urbano.
*Presidente Antigone
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