by redazione | 2 Settembre 2014 9:38
MENTRE l’opinione comune si ribellava alla “caccia” ai genitori del piccolo Ashya King, David Cameron ha voluto esprimere loro la propria solidarietà, e il riconoscimento che avevano agito per “offrirgli il meglio”. I coniugi Cameron avevano perduto un figlio di sei anni nel 2009, ciò che ha reso più sentite ed efficaci le parole del premier britannico. Le quali intervenivano in una situazione paradossale.
I SIGNORI King sono in stato di arresto a Malaga, ed è loro vietata la frequentazione del figliolo. Il conflitto fra le competenze dello Stato — in questo caso, del suo sistema sanitario — e i diritti della famiglia sta all’origine della civiltà: la legge presunta universale ha superato il particolarismo della legge del sangue. Non di rado con un eccesso di zelo, sequestrando affetti, responsabilità e singolarità dei rapporti primari fra le persone.
In questa tensione l’equilibrio non è mai raggiunto e definito una volta per tutte. Se i genitori di Ashya, testimoni di Geova, l’avessero sottratto alle cure per un pregiudizio religioso o superstizioso, la decisione di togliere loro il bambino e ripristinarne la cura riconosciuta appropriata sarebbe stata non solo lecita, ma giusta e necessaria. A quanto pare, non era così. I genitori e gli altri figli si sono impegnati ad assicurare al piccolo malato di un carcinoma al cervello — al quale l’ospedale curante pronosticava pochi mesi di vita — le cure da loro ritenute più efficaci, e a procurargli altrove la terapia radiologica “protonica”, descritta come migliore.
Hanno fatto come ormai fa la gran maggioranza delle persone, e ora noi stessi nel tentativo di orientarci sul caso: hanno cercato nella sterminata mole di informazioni offerte dalla rete e hanno confidato in quelle, magari controverse, più promettenti. La rete è — anche — un equivalente ammodernato e appena secolarizzato della speranza nei miracoli, che spingeva magari a portare via la propria creatura dalla prognosi infausta di un’autorità medica costituita e depositarla ai piedi di una Madonna. Ma i signori King, Brett e Naghemeh, hanno sostenuto pubblicamente e in modo convincente di adoperarsi per dare al piccolo la terapia migliore.
Quando l’intervento della pubblica autorità è teso a salvare una vita che il pregiudizio privato condannerebbe al sacrificio, esso non è solo lecito ma doveroso: è il caso del rifiuto religioso alla trasfusione del sangue. All’opposto, le autorità dell’ospedale di Southampton e gli organi di polizia sembravano essersi alleati, e aver trascinato nella propria alleanza l’intera gamma dei mezzi di comunicazione, in qualcosa di simile a una aggiornata caccia alle streghe.
Il conflitto aperto sul piccolo Ashya evoca immediatamente il caso italiano detto Stamina. Evitando scrupolosamente di opinare sul merito scientifico, si può osservare come la desolante controversia italiana corrisponda a un caso opposto a quello che scuote la Gran Bretagna. Da noi si chiede allo Stato, col concorso di campagne mediatiche, di
patrocinare un metodo terapeutico che l’intero mondo scientifico dichiara del tutto inconsistente, se non ingannevole. Naturalmente, l’intero mondo scientifico, o giù di lì, può sbagliare: ma non è ammissibile che a contraddirlo sia la paura dell’impopolarità di fronte a una pressione che viene dai malati, dai loro casi, e da una campagna d’opinione. Tanto meno a una frantumazione di responsabilità, scientifica, legislativa, governativa e giudiziaria.
Vietare ai malati e alle loro famiglie il ricorso a terapie che suscitano le loro speranze è un abuso di potere e un peccato contro la libertà personale. Trasferire sulla responsabilità pubblica quelle speranze, magari solo in nome della compassione, è un atto di demagogia e di tradimento della libertà scientifica. E di confusione fra i pellegrinaggi dalle Madonne che piangono o da Padre Pio, del tutto leciti, e la teatrale superstizione del metodo Di Bella. Quando ogni altra speranza scientificamente fondata cede, la legge prevede l’impiego di farmaci sui quali la sperimentazione sia ancora incompleta. È quello che succede in questi giorni con la ricerca di terapie contro l’ebola.
Il tentativo dei genitori del piccolo Ashya, e dei suoi fratelli, è del tutto incerto, e forse del tutto infondato. Quello che sembra certo, e che la presa di posizione di Cameron ha reso evidente, è che chiedere l’estradizione dei signori King, tenerli in arresto, separarli dal loro piccolo, è una cosa bruttissima. E, molto probabilmente, illegale.
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