Il Papa: crimini e distruzioni, ogni guerra è una follia
REDIPUGLIA — «L’umanita? ha bisogno di piangere, e questa è l’ora del pianto». Francesco, appena arrivato, ha pregato a capo chino sulle tombe del cimitero austroungarico e ora ha l’aria assorta e triste mentre parla nel sacrario che custodisce centomila soldati italiani della Grande Guerra, 39.857 hanno un nome e 60.330 restano ignoti, sopra tutti la scritta «presente» in rilievo sulla pietra. «Trovandomi qui, in questo luogo, mi viene da dire soltanto: la guerra è una follia». Si rivolge al tempo presente, Francesco, nell’omelia più amara e forse più alta del suo pontificato. Durissimo contro i «pianificatori del terrore, gli organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi» che operano oggi. A cento anni dallo scoppio del primo conflitto planetario, ripete quanto già diceva di ritorno da Seul: «Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni…».
Perché è dalla Grande Guerra che tutto è cominciato. L’orrore del «Secolo breve» che Eric Hobsbawm ha definito «il più sanguinario che la storia ricordi», 187 milioni di morti tra guerre e genocidi, e tutto a cominciare da quella, «una catastrofe storica innescata da errori di valutazione politica», scriveva, che ha come simbolo il milione di morti a Verdun, nel 1916, il non senso di quel «fronte occidentale» che non si mosse per tre anni e mezzo. Così il Papa torna a ripetere l’espressione che Benedetto XV usò il 1° agosto 1917 per chiedere ai capi delle nazioni di fermarsi: l’«inutile strage». Per questo bisogna piangere, sospira Francesco: «Caino non ha pianto». Perché «la cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere» che motivano le guerre sono «spesso giustificati da un’ideologia» ma al fondo c’è «la risposta di Caino» che scandisce tutta l’omelia: «A me che importa? Sono forse io il custode di mio fratello?». L’amarezza di Bergoglio sta tutta in una frase: «Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo della guerra: “A me che importa?”».
Allora l’umanità rispose così, dice. Per questo «oggi» bisogna piangere. Guai all’indifferenza. L’atteggiamento di Caino «è esattamente opposto a quello che ci chiede Gesù». Francesco esorta tutti alla «conversione del cuore», dolore e pentimento sono propri dei «saggi», il suo tono si fa severissimo: «Chi si prende cura del fratello, entra nella gioia del Signore; chi invece non lo fa e con le sue omissioni dice: “A me che importa?”, rimane fuori». Parla al nostro tempo, «anche oggi le vittime sono tante». Durissimo contro i mercanti di morte: «Anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, e c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!». Gli «affaristi della guerra», scandisce, «hanno scritto sul cuore» la risposta di Caino: «Forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere».
Alla fine il ministro della Difesa Roberta Pinotti e il capo di Stato Maggiore Luigi Binelli Mantelli si avvicinano all’altare, al Papa viene donato il foglio matricolare del nonno Giovanni Bergoglio, che combattè sul fronte del Medio Isonzo prima di emigrare in Argentina, numero 15543, bersagliere. Si prega per le vittime di tutte le guerre e i militari caduti «nelle operazioni di supporto alla pace». I genitori del maggiore Giuseppe La Rosa, morto in Afghanistan l’8 giugno 2013 salvando i compagni, donano al Papa il cappello da bersagliere del figlio. Ha smesso di piovere, la tromba di un alpino intona il Silenzio, diecimila persone abbassano lo sguardo. Restano le ultime parole di Francesco: «L’ombra di Caino ci ricopre oggi qui, in questo cimitero. Si vede qui. Si vede nella storia che va dal 1914 ai nostri giorni. E si vede anche nei nostri giorni».
Gian Guido Vecchi
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