by redazione | 15 Settembre 2014 8:29
ERBIL — «Padre Paolo Dall’Oglio è vivo e sta bene. Si trova in una prigione posta nelle vicinanze della cittadina siriana di Raqqa e controllata da militanti iracheni dello Stato Islamico. Nelle stessa prigione potrebbero trovarsi altri ostaggi occidentali, tra cui le due cooperanti italiane rapite di recente». Lo sostiene il 74enne Michel Kilo, noto intellettuale damasceno che dai primi anni Settanta è una delle voci più forti tra le opposizioni di sinistra alla dittatura siriana. Cristiano, ex militante comunista, poi laico e liberale, arrestato più volte dalla polizia segreta del regime, Kilo dal 2011 sta spesso a Parigi e sostiene le ragioni delle rivolte, ma critica duramente i gruppi jihadisti. Ci parla per telefono, dopo che per diversi giorni ha intrattenuto contatti in Turchia con dirigenti e militanti delle brigate di siriani ribelli che operano nelle regioni frontaliere. Le sue dichiarazioni riguardo al gesuita italiano, sparito nella Siria settentrionale dal 29 luglio 2013, contraddicono le voci, ripetute più volte da allora tra i gruppi dell’opposizione al regime anche nella zona di Raqqa, che questi fosse stato assassinato poche ore dopo il rapimento.
Che informazioni ha su padre Dall’Oglio?
«Originariamente venne rapito da militanti dello Ahrar al-Sham (letteralmente «Uomini Liberi della Grande Siria», il gruppo armato che raduna formazioni minori tra il fronte integralista islamico, ndr ). Questi però poi lo hanno consegnato ai capi dello Stato Islamico, forse dopo un congruo pagamento come fanno spesso tra formazioni diverse, che intendevano liberarlo in cambio di un forte riscatto. Per molti mesi è stato rinchiuso nel palazzo del governatorato di Raqqa, dove i jihadisti hanno il loro quartier generale. Con lui sono stati tanti altri prigionieri occidentali, credo anche James Foley, il primo dei giornalisti americani decapitati».
Sono notizie importanti, delicate, che fonti ha?
«Non posso specificare. Ma sono fonti attendibili».
Ora Dall’Oglio dove si troverebbe?
«Adesso mi dicono sia in un carcere diverso. I suoi carcerieri sarebbero jihadisti iracheni, meno affidabili dei precedenti, più pericolosi di quelli siriani di Raqqa. Con lui, non nella stessa cella, potrebbero esserci anche le due italiane».
Sono in corso trattative?
«Prima c’erano. Ma adesso per Dall’Oglio, che è un carissimo amico, purtroppo la situazione si sta complicando, rischia molto più di prima. Non è più una questione di prezzo. La partecipazione militare italiana alla nuova coalizione guidata dagli americani contro lo Stato Islamico introduce l’elemento politico. Un conto è mandare aiuti civili, un altro spedire armi. Lo abbiamo appena visto con la decapitazione dell’ostaggio inglese. I jihadisti ricattano e puniscono i Paesi che si alleano contro di loro».
Ma lei cosa pensa delle possibili operazioni alleate in Siria? È vero che ormai non ci sono più brigate «laiche» tra le formazioni ribelli?
«Penso che non sia vero che lo Stato Islamico abbia completamente annichilito il fronte delle brigate che lottano per la libertà e la democrazia contro la dittatura di Bashar Assad, ma anche contro i fondamentalisti islamici. Lo sostengono in tanti. Ma io non sono d’accordo. Al contrario sono convinto che, nel momento in cui gli americani cominceranno davvero a bombardare, sia i militanti del Nuovo Esercito Siriano Libero che le formazioni non estremiste islamiche torneranno in massa a combattere per la libertà del Paese. Ora non si vedono, sono strette tra l’incudine dello Stato Islamico e il martello delle repressione del regime. Ma sono presenti, vive e vegete, da nord a sud».
Occorre turarsi il naso e accettare Bashar Assad come alleato pur di battere lo Stato Islamico?
«Assolutamente no. Assad è un criminale, un assassino della sua gente, che non ha esitato a sfruttare e dar forza ai jihadisti terroristi e tagliagole pur di criminalizzare l’intero movimento patriottico di opposizione al regime. Assad non è un partner. Deve andarsene. Con lui non ci sono compromessi possibili».
Lorenzo Cremonesi
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