Ong, alla Cina alle nuovissime fabbriche del mondo

by redazione | 3 Settembre 2014 17:36

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Di ong, mondo del lavoro, migra­zioni e wel­fare, diritti delle donne, si parla da tempo in Asia. Il paese a cui tutti i paesi del con­ti­nente guar­dano, per lo più, è la Cina, per­ché quello più pre­po­tente a livello inter­na­zio­nale e con i numeri più impo­nenti. Pechino sa bene come l’allargamento del wel­fare sia neces­sa­rio. Anche per que­sto con Xi Jin­ping è par­tita la riforma dell’hukou, il per­messo di resi­denza, che per­met­terà anche ai «migranti» di usu­fruire dei diritti basi­lari sociali, sani­tari. Parte di que­sta modi­fica sto­rica (l’hukou è in vigore dagli anni 50) si deve sicu­ra­mente alla piena con­sa­pe­vo­lezza da parte degli orga­ni­smi diri­gen­ziali cinesi, riguardo il dovere di redi­stri­buire ric­chezza in uno dei paesi con la dif­fe­renza più emble­ma­tica tra chi si è arric­chito e chi è povero. Allo stesso tempo la neces­sità di avere lavo­ra­tori e lavo­ra­trici, anche quelli che occu­pano il gra­dino più basso della scala sociale, ovvero quelli che si spo­stano dalla cam­pa­gna alla città, in grado di poter spen­dere, com­prare e azio­nare la leva del mer­cato interno, per­mette al paese di essere meno dipen­dente dalle espor­ta­zioni e aumen­tare gli inve­sti­menti nell’innovazione. Que­sta pro­gres­siva china verso il basso della cosid­detta «fab­brica del mondo», è il risul­tato di più fat­tori: il deci­sio­ni­smo del Par­tito, la crisi inter­na­zio­nale e le atti­vità delle ong che negli ultimi anni hanno finito per avere un ruolo sem­pre più impor­tante nei gan­gli sociali e lavo­ra­tivi cinesi. Inchie­ste, ricer­che (ricorda Luciana Castel­lina che i numeri uffi­ciali cinesi non sono il mas­simo dell’affidabilità), hanno mostrato un paese che tutti vede­vano, ma che nes­suno uffi­cia­liz­zava. La forza di que­ste ong, quasi tutte del set­tore lavo­ra­tivo e ambien­tale (ad esem­pio ci sono molte orga­niz­za­zioni dedi­cate com­ple­ta­mente al cibo bio­lo­gico e alla sicu­rezza ali­men­tare) è stata a tal punto rile­vante, da finire nel tri­ta­carne del governo. In Cina si dice che quasi tutte le ong siano «ong con la g», nel senso che pur essendo nomi­nal­mente «non gover­na­tive», hanno una spruz­zata di «gover­na­tivo». Anche per­ché altri­menti non potreb­bero esi­stere. Quindi va bene la ricerca e le inchie­ste, ma que­ste orga­niz­za­zioni non devono esa­ge­rare. Tra­durre un allarme sociale in mobi­li­ta­zione, porta a finali di sto­ria piut­to­sto cupi in Cina.

Ma del resto que­sta ten­denza cinese, incon­tra le neces­sità di un con­ti­nente. Da fra­tello mag­giore degli altri paesi asia­tici, tale è la con­si­de­ra­zione della pro­pria iden­tità in Asia da parte della Cina, Pechino spinge sull’innovazione e sulla pro­du­zione di qua­lità (nelle scienze, nelle bio­tec­no­lo­gie), per­ché ormai il capi­tale umano per la pro­du­zione a basso costo si è spo­stato. La stessa Cina delo­ca­lizza: Laos, Viet­nam, Cam­bo­gia. Chi è stato in Cam­bo­gia si sarà accorto che ogni fab­brica di una certa rile­vanza è di pro­prietà cinese. Stessa cosa in Viet­nam. Nei giorni delle pro­te­ste anti Pechino di Hanoi e Ho Chi Minh City, per una annosa disputa ter­ri­to­riale tra i due paesi, la Cina ha fatto rien­trare un numero piut­to­sto alto di lavo­ra­tori, impie­gati nei pro­pri sta­bi­li­menti. A dimo­stra­zione di una pre­senza impo­nente. O il Ban­gla­desh. I paesi dove donne e uomini muo­iono con una certa fre­quenza sul lavoro (non che in Cina non accada, ma è pre­su­mi­bile che anche que­sto genere di eventi vada dimi­nuendo in futuro). E non solo capi­tale cinese, per­ché in quelle fab­bri­che dove lavo­rano spesso mino­renni, per lo più donne, a ritmi infer­nali, in con­di­zioni di sicu­rezza che defi­nire sca­denti è poco, pro­du­cono ormai i più grandi brand mon­diali, come dimo­strato dalla recente tra­ge­dia del Rana Plaza, a Dakka in Ban­gla­desh. Lì lo scorso aprile l’edificio crollò e i morti furono più di mille.

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