by redazione | 10 Settembre 2014 10:31
Dai dati sul secondo trimestre 2014, forniti ieri dal sistema informativo delle comunicazioni obbligatorie del ministero del lavoro, emerge il profilo della nuova occupazione dopo la riforma Poletti sui contratti a termine. Si tratta di un’occupazione «mordi e fuggi» dove abbondano i contratti parasubordinati e a tempo determinato, mentre quelli a tempo indeterminato sono una minoranza.
L’anagrafe ministeriale sugli avviamenti dei nuovi rapporti di lavoro ha registrato 2 milioni e 651 mila rapporti di lavoro dipendente e parasubordinato: 80.590 in più rispetto al secondo trimestre del 2013 (+3,1%). Il 75% circa si è concentrato nei servizi che è cresciuto del 3,4% rispetto all’anno scorso. Sempre in crisi, invece, l’edilizia che perde ancora il 3,4%. L’industria, invece, riparte e di molto con un più 13,4% e 22.762 assunzioni in più. Lo screening del ministero permette anche di registrare una nuova contrazione dei licenziamenti: –8,6%, pari a 18.826 unità, e delle dimissioni (-4,3% pari a 15.236). Diminuiscono anche le cessazioni di attività (-26,8% pari a –6.752). Su base tendenziale, si registra l’incremento del numero dei contratti avviati a tempo indeterminato (+1,4%, pari a 5.416 unità), dei contratti a tempo determinato (+3,9% pari a 68.537 unità) e dell’apprendistato (+16% pari a 11.395 nuove attivazioni).
Rispetto al secondo trimestre 2013, le attivazioni aumentano in tutto il Centro-Nord, in particolare nelle regioni settentrionali dove il numero delle nuove contrattualizzazioni cresce del 7,3% (circa 71 mila nuovi avviamenti in più), nel Mezzogiorno si registra una leggera flessione delle attivazioni pari a –864 unità su base tendenziale. Considerando il genere dei lavoratori, 1.308.593 contratti di lavoro avviati hanno riguardato le donne, un dato che, rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, segna un incremento dell’1,8% (circa 23 mila contratti in più) l’aumento dei nuovi contratti femminili è stato piuttosto accentuato nelle regioni del Nord Italia (+6,4%) tuttavia ha segnato valori negativi al Centro (-1,2%) e nel Mezzogiorno (-0,9%).
Il dato più interessante è la tipologia di contratti «accesi» in quest’ultimo trimestre. Il 70% circa delle assunzioni effettuate è stato formalizzato con contratti a tempo determinato (1.848.147 unità), mentre solo il 15,2% con contratti a tempo indeterminato (403.036 unità) il 5,8% con contratti di collaborazione (153.313 unità).
Praticamente 7 persone su 10 lavorano a tempo determinato in Italia. In altre parole sono precarie. Ad osservare la tendenza degli ultimi anni non è una novità. È perlomeno dalla fine degli anni Novanta che è in atto una trasformazione strutturale nei rapporti di lavoro. L’ultimo dato è solo un’altra conferma di cosa è avvenuto nel frattempo. Il punto è che queste nuove «assunzioni» potrebbero terminare alla conclusione del contratto. Molti potrebbero essere rinnovati, ma altrettante potrebbero concludersi.
Il decremento dei licenziamenti non influisce su questo andamento genetico del mercato del lavoro: un mancato rinnovo, infatti, non corrisponde ad un licenziamento, ma rientra nella generale statistica sulle entrate e sulle uscite di un lavoratore rispetto ad un rapporto di lavoro a tempo determinato.
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