Un memorandum di pace per l’ Ucraina

by redazione | 21 Settembre 2014 18:39

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MOSCA — Dopo il cessate il fuoco è arrivato un altro accordo che è sicuramente molto apprezzato dal Cremlino e dai ribelli filorussi perché, in pratica, ufficializza a livello internazionale il loro controllo dell’Ucraina orientale. L’artiglieria dovrà essere ritirata dalla linea del fronte, gli aerei smetteranno di condurre incursioni e osservatori dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, sorveglieranno la zona cuscinetto. Una situazione che provvisoriamente lascia nelle mani dei ribelli proprio quelle aree di cui loro volevano l’indipendenza. Ma il provvisorio, da queste parti, è spesso definitivo, come si è visto in passato. L’Ossezia del Sud e l’Abkhazia sono rimaste separate dalla Georgia dopo un cessate il fuoco proclamato nel 1992 e nel 1994. Fino a quando non si sono dichiarate del tutto indipendenti dopo la guerra tra Russia e Georgia del 2008. La Transnistria, un’enclave abitata da russi tra la Moldavia e l’Ucraina, è nel limbo da 22 anni.
Le relazioni tra Russia e Ovest continuano così a rimanere assai tese, tanto che ieri ancora una volta aerei russi sono andati a stuzzicare gli intercettori americani al largo dell’Alaska. Una incursione che il ministero della Difesa di Mosca ha definito del tutto normale ma che ha portato sei Mig-35 nella zona di identificazione della difesa americana, subito a ridosso dello spazio aereo nazionale. Manovra effettuata anche in passato e che oggi ha probabilmente due spiegazioni. La prima è quella di rendere visibile la contrarietà del Cremlino per la visita negli Stati Uniti del presidente ucraino Petro Poroshenko, al quale sono stati promessi aiuti logistici. Inoltre operazioni di questo genere servono a testare la capacità e la velocità di reazione della controparte. I russi hanno sicuramente cronometrato il tempo impiegato da due intercettori dell’Usaf e due canadesi per raggiungere i loro velivoli.
In Ucraina ieri non ci sono stati morti, segno che la tregua firmata due settimane fa regge, nonostante le violazioni registrate. Ora si cerca di fare un passo avanti molto importante, con il protocollo in nove punti concordato a Minsk, capitale della Bielorussia, tra ucraini, ribelli, russi e rappresentanti dell’Osce.
Le due parti dovranno ritirare l’artiglieria di 15 chilometri e spostare ancora più indietro i grossi calibri, in modo da non potersi più colpire. Non ci dovranno essere incursioni aeree o voli di droni nella zona cuscinetto larga 30 chilometri tra i due eserciti. Dovranno andarsene tutti i mercenari e le truppe e i mezzi militari stranieri (naturalmente non viene menzionata la Russia che ufficialmente non è in Ucraina). Le due parti non dovranno cercare di avanzare. Il tutto verrà controllato dall’Osce che per ora ha solo 250 osservatori (raddoppieranno a fine anno) aiutati da droni.
Non è chiaro cosa succederà in zone dove il fronte non è ben definito, come attorno all’aeroporto di Donetsk, controllato dai governativi ma circondato dai ribelli. Ieri ancora nessuno aveva iniziato a ritirare i cannoni, ma il fatto che non siano partiti colpi è un buon segno.
A Minsk non si è parlato dello status futuro della regione. Kiev ha varato una legge che concede ampia autonomia, ma ai ribelli non basta; loro vogliono ben altro. Se la situazione attuale rimarrà congelata, per i filorussi, comunque andrà bene. Con il Paese diviso in due e con il fronte sotto controllo internazionale, è assai difficile che si possa ricominciare a parlare di ingresso dell’Ucraina nella Ue e, tantomeno, nella Nato.
Fabrizio Dragosei

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