Julian Assange: “Google è diventato malvagio”

Julian Assange: “Google è diventato malvagio”

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Sono quattro anni che ha perso la libertà e vive da internato. Prima in una splendida casa georgiana nel cuore della vecchia e verde Inghilterra, Ellingham Hall, dove è rimasto agli arresti domiciliari per un anno e mezzo. Poi nel quartiere glamour di Londra, Knightsbridge, dove attualmente si trova, rintanato nell’ambasciata dell’Ecuador, che gli ha concesso asilo politico ormai da due anni. ‘Incertezza’ è la parola chiave nel futuro di Julian Assange. Nessuno sa come la sua incredibile storia finirà. L’impasse diplomatico-giudiziario continua. Così come continua l’assedio dell’ambasciata da parte di Scotland Yard, sempre pronta ad arrestarlo se solo mette un piede fuori.

Tante volte WikiLeaks e Julian Assange sono stati dati per spacciati. Nel dicembre 2010, appena lui e il suo staff hanno iniziato a pubblicare i cablo della diplomazia americana, si sono visti tagliare dalla sera alla mattina, con un procedimento stragiudiziale, la possibilità di ricevere donazioni dai sostenitori. Improvvisamente Visa, Mastercard, PayPal, Western Union, Bank of America hanno chiuso i rubinetti.

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Assange: Google should be of concern to people all over the world

In his new book, Wikileaks leader speaks about the politics of web giant executives on personal data. And he warns: “They believe they are doing good, but they are now aligned with US foreign policy. This means that Google can intervene on behalf of US interests, for example, it can end up compromising the privacy of billions of people, it can use its advertising power for propaganda”. Like Nsa

La scena di WikiLeaks ridotta nei messi successivi a vendere adesivi per sopravvivere ha fatto concludere a troppi che Assange e la sua organizzazione fossero ormai finiti. Un’intrigante meteora per attivisti e libertari. Un incubo passeggero per i potenti sempre bisognosi dello scudo della segretezza. In ogni caso, a tanti WikiLeaks sembrava un’avventura finita. E invece abbiamo visto con il casoEdward Snowden quanto fosse sbagliata la previsione.

Quella contro Snowden è stata una caccia all’uomo su scala planetaria, scatenata da una superpotenza. Con centinaia di giornali e organizzazioni per i diritti umani che non hanno potuto che stare a guardare, indifferenti o indignati, ma comunque incapaci di dare anche solo uno straccio di aiuto pratico a Snowden. Solo Julian Assange – confinato in una stanza di venti metri quadri, guardato a vista – si è mosso pianificando un bliz per salvare la vita a Snowden. E ha funzionato. Nell’agosto scorso è bastato che si diffondesse la voce, peraltro infondata, che Assange fosse pronto a mollare, consegnandosi alla polizia. Ancora una volta un finale

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Julian Assange vuole uscire dall’ambasciata
Ma da uomo libero, non per consegnarsi

In una conferenza stampa il fondatore di WikiLeaks ha annunciato la sua intenzione di andarsene “presto” dalla sede diplomatica dell’Ecuador a Londra in cui si è rifugiato due anni fa. Ma non ha mai detto di volersi “costituire” come riportano alcuni media. Perché spera nella caduta del mandato d’arresto scontato per molti. Decine di televisioni e giornalisti di mezzo mondo sono accorsi a Knightsbridge per filmare e raccontare la cronaca di una resa annunciata. E invece no. Anche stavolta nessuna capitolazione. Assange e WikiLeaks vanno avanti.
Negli ultimi mesi, il fondatore di WikiLeaks ha lavorato a un libro sul gigante della rete, Google. Il libro, dal titolo “ When Google Met WikiLeaks ”, ovvero “Quando Google incontrò WikiLeaks”, (Or Books, New York), esce oggi in lingua inglese. E’ un saggio brillante in cui Assange racconta del suo incontro avvenuto nel 2011 a Ellingham Hall con Eric Schmidt, presidente di Google, e con Jared Cohen, direttore di “Google Ideas”. Un incontro di intelligenze ed esistenze agli antipodi. Come agli antipodi sono le due visioni del futuro di internet che escono dal racconto: per Assange, «il potere liberatorio della rete risiede nella sua libertà e nel suo essere un mondo senza Stato». Per Schmidt, invece, «l’emancipazione di internet coincide con gli obiettivi della politica estera americana».

Gente come Schmidt e Cohen , scrive Assange «ti diranno che l’apertura mentale è una virtù, ma ogni punto di vista che sfida l’eccezionalismo americano, alla base della politica estera Usa, rimarrà invisibile a loro. E questa è l’impenetrabile banalità del ‘non fare male’. Loro credono di fare del bene. E questo è il problema». Nel libro non mancano guizzi dell’umorismo di Julian. Come quando racconta della telefonata al dipartimento di Stato in cui lo staff di WikiLeaks fa presente che Assange chiede di parlare con Hillary Clinton e, prevedibilmente, la richiesta viene accolta con “burocratico sbigottimento”, con Assange e il suo team che si ritrovano a vivere una scena del film ‘Il Dottor Stranamore’ ,«dove Peter Sellers chiama senza preavviso la Casa Bianca per avvertire di un’incombente guerra nucleare e la telefonata viene messa in attesa». Abbiamo chiesto a Julian Assange di parlarci di lui e del suo libro.

Iniziamo dal suo incontro con Eric Schmidt e Jared Cohen. Nel suo libro, lei scrive che a livello personale sono delle persone molto gradevoli, ma se il futuro di internet sarà Google, allora questo dovrebbe preoccupare chiunque nel mondo. Perché?
«Negli ultimi 15 anni Google è cresciuto dentro internet come un parassita. Navigazione internet, social network, mappe, satelliti droni, Google è dentro il nostro telefono, sul nostro desktop, sta invadendo ogni aspetto delle nostre vite: sia le relazioni personali che commerciali. A questo punto Google ha un potere reale su chiunque usi internet, ovvero praticamente chiunque nel mondo contemporaneo. Nel diventare sempre più grande, Google è diventato anche malvagio. Spiego nel mio libro come ormai è allineato con la politica estera americana. Questo significa per esempio che Google può intervenire nell’interesse degli Stati Uniti, può finire per compromettere la privacy di miliardi di persone, può usare il potere della pubblicità a scopi di propaganda. Paesi come Russia e Cina – e questo si può constatare leggendo i cablo della diplomazia Usa che noi abbiamo rilasciato – guardavano a Google come a una mano degli Stati Uniti fin dal lontano 2009. Purtroppo la loro soluzione (della Russia e della Cina, ndr) è creare dei monopoli locali. Google succhia i dati personali di ogni singola persona: sta costruendo uno sterminato bacino di informazioni che è di grande interesse per il governo americano. Di conseguenza, il governo è entrato in relazione con Google per accedere al suo database. E Google non cambierà mai il suo modo di operare, perché il suo business model è raccogliere più dati possibili sulle persone e centralizzare quei dati, per trovare tutte le relazioni così da elaborare un modello di previsione per la pubblicità mirata, quasi esattamente quello che fa la Nsa».

Lei descrive Eric Schmidt come un personaggio “in cui le tendenze centriste, imperialiste e liberal s‘incontrano perfettamente nella politica americana”. Che tipo di mondo Eric Schmidt e Jared Cohen stanno costruendo per noi? 
«Schmidt e Cohen hanno pubblicato un libro che è stato largamente ignorato, ma che è estremamente rivelatorio. Si chiama “La nuova era digitale” ed è un progetto che delinea la loro visione del futuro: un mondo di infinito consumismo ed evasione, dove il consumatore ideale va in giro con i gadget Google, “strisciando il dito” e “condividendo”, e tutto è meraviglioso. Schmidt e Cohen credono che nel mondo occidentale non ci sia più bisogno della privacy, perché i governi sono intrinsecamente “buoni”, responsabili e usano l’informazione che raccolgono per gestire in modo migliore i loro cittadini».

Lei scrive che Google è nato come espressione della cultura indipendente dei laureati della California, una cultura decente, umana, divertente, ma alla fine è diventato “l’impero del non fare del male”. Cosa ha fatto sì che Google diventasse così maligno?
«Google è nato come un’espressione di quella cultura studentesca decente, divertente e politicamente naif che aleggiava intorno alle università di Stanford e Berkeley, ma a causa, in ultima analisi, del fatto che è diventata la seconda più grande azienda degli Stati Uniti, Google è diventato malvagio. Come tante altre aziende americane, Google ha cercato di espandersi nei mercati esteri, diventando così dipendente dal consiglio e dall’azione di lobbying del dipartimento di Stato e di altre entità del governo americano. Quella dipendenza ha comportato estesi contatti e alleanze personali tra il management di Google, incluso Eric Schmidt, e il potere americano».

Non crede che Cina e Russia combatteranno strenuamente contro l’impero di Google? 
«Sì, sono lenti, ma la gente del posto è choccata nel realizzare cosa sta accadendo, perché non c’è bisogno di annettere fisicamente una nazione (per controllarla, ndr) quando si controlla l’informazione e si possono

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influenzare le leggi di quella nazione attraverso i trattati internazionali. Il dominio di Google è visto da paesi come la Cina e la Russia come una questione di sovranità nazionale. In Cina si può vedere come stanno costruendo servizi internet locali. Si può pensare che Russia e Cina siano nazioni malvagie, ma l’avere una sola potenza con un potere di dominio estremo porta agli abusi che abbiamo visto con la Nsa. L’interazione tra Google, la politica estera Usa e l’establishment dell’intelligence è ampiamente basata sull’intesa reciproca ed è portata avanti attraverso l’uso della forza della coercizione, quando non è possibile contare sulla cooperazione volontaria, come è stato rivelato recentemente con Yahoo, che nel 2008 è stato messo sotto pressione dalla Nsa affinché desse accesso ai dati dei suoi clienti sotto la minaccia di una multa di 250.000 dollari al giorno».

Come replica a chi obietta: Google sarà anche “l’impero del non fare del male”, ma la Cina e la Russia non sono di certo dei campioni della libertà della Rete
«La Cina è stata la prima nazione a censurare WikiLeaks: è successo nel 2007. E’ una nazione politicizzata ed è spaventata da quello che il suo popolo pensa. Ma in un certo senso,questa è la visione ottimistica, perché la Cina crede che ciò che pensa il suo popolo è importante e, invece, in molte nazioni occidentali la libertà di parola è il risultato del fatto che quello che la gente pensa non conta nulla: le élite dominanti non hanno bisogno di essere preoccupate di quello che il popolo pensa perché un cambiamento nella politica non andrà in nessun modo a cambiare il fatto che quelle élite possiedano o meno le loro aziende. I problemi con la Cina e la Russia sono completamente interni».

E come replica a chi argomenta che abbiamo bisogno della sorveglianza di massa che la Nsa ha messo in piedi attraverso la collaborazione con Google, perché i fanatici dell’Is sono la dimostrazione perfetta di come le nostre democrazie corrano un pericolo mortale? 
«Le nostre democrazie sono in pericolo mortale per il totalitarismo che incombe su di esse a causa della sorveglianza di massa: un potere in grado di controllare ogni significativa interazione sociale ed economica».

Tra l’altro, nonostante intercettino miliardi di persone, sembra siano stati incapaci di prevenire qualsiasi attacco importante e di prevedere anche l’ascesa dell’Is…
«Lo scopo primario della sorveglianza di massa è il vantaggio strategico (che ne deriva alla nazione che la pratica, ndr) e infatti, internamente, viene chiamata “sorveglianza strategica”. La Nsa intercetta interi continenti esattamente come negli ultimi 70 anni è stato condotto un grande gioco per controllare il petrolio e i paesi coinvolti nella sua produzione: si può vedere questo con i fatti dell’Ucraina».

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Lei e il suo staff siete stati in grado di resistere a ogni sorta di pressione: minacce di morte, grandi indagini e un blocco bancario stragiudiziale. Nel suo libro racconta di come è stato in grado di alleggerire la pressione del blocco bancario grazie a un investimento strategico in Bitcoin. E seppure confinato nell’ambasciata, è stato in grado di assistere Edward Snowden, inviando a Hong Kong Sarah Harrison, che ha aiutato Snowden a ottenere asilo. Eppure, lei è ancora confinato nell’ambasciata, Sarah Harrison è in esilio, Chelsea Manning in prigione e Edward Snowden non ha nessun posto in cui nascondersi se non la Russia. Crede che avremo nuovi Manning e Snowden, visti i prezzi altissimi pagati dai whistleblower e da lei e il suo staff?
«Sì, ne sono praticamente certo. Noi siamo intervenuti e abbiamo organizzato un’operazione per assistere Snowden, portandolo in salvo da Hong Kong perché volevamo farne un caso esemplare per mandare il messaggio che è possibile rivelare questo tipo di informazioni e tuttavia mantenere gran parte della propria libertà intatta. E’ un messaggio che certamente incoraggia e incentiva altri whistleblower».

Nel suo libro spiega perché non è facile creare altre WikiLeaks. Come vede i tentativi del Guardian e del Washignton Post di creare una piattaforma per l’invio di documenti segreti? 
«Considero una vittoria che i media stiano cercando di seguire parte del nostro modello. Ma non trovo quelle organizzazioni particolarmente interessanti. Ci sono altri piccoli soggetti più interessanti, come BalcanLeaks, che stanno cercando di usare la tecnologia delle comunicazioni criptate in modi innovativi. Il grande problema, però, è sempre stato quello di pubblicare e purtroppo la semplice adozione delle comunicazioni criptate non può fare nulla per risolvere questo problema. Abbiamo visto quanto poco il Washington Post e il Guardian abbiano pubblicato del materiale [di Snowden, ndr] che hanno ricevuto. Il direttore del Guardian, Alan Rusbridger, ha anche dichiarato che nei file di Snowden ci sono materiali sull’Iraq e l’Afghanistan, che però non verranno neppure letti [dai giornalisti del Guardian, ndr].

Il New York Times ha i file di Snowden, ma almeno finora non li ha pubblicati
«Sì, in totale una percentuale intorno al 2 percento del materiale è stata pubblicata. E questo è il vero problema: le comunicazioni criptate vanno bene, ma serve un’organizzazione capace di pubblicare con metodi più seri e questa è una complessa impresa sul piano sia delle numerose giurisdizioni coinvolte, dei problemi tenici e sociologici. Questa è la ragione per cui non c’è, purtroppo, alcuna organizzazione capace di pubblicare [documenti, ndr] come facciamo noi. E’ ancora difficile creare una nuova WikiLeaks».

Ha dedicato il suo libro alla sua famiglia “che amo moltissimo e mi manca moltissimo”. Li ha incontrati di recente? 
«Per ragioni di sicurezza, non commento questo tipo di cose: ci sono state minacce contro la mia famiglia».

Lei ha detto: “Cosa bisogna fare? La risposta è semplice. E lo è sempre stata. Smettete di dire: ‘not in my name’ e iniziate a dire “sul mio cadavere”. E’ quello che noi abbiamo fatto. Funziona. Fatelo anche voi”. Guardando indietro, valeva la pena?
«Quando si hanno ideali da realizzare, bisogna pagare un pezzo, esattamente come per comprare un macchina bisogna pagarne uno. Dal punto di vista della mia vita, credo che il prezzo che ho pagato per quello che voglio ottenere, sebbene non insignificante, sia veramente piccolo rispetto alla soddisfazione che mi ha dato l’ottenere



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