Jobs act anche per decreto

by redazione | 17 Settembre 2014 9:02

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Il Jobs act per decreto. Com­presa la modi­fica dell’articolo 18, sim­bolo di «un sistema ini­quo» e dun­que «non di sini­stra», di un «sistema del diritto del lavoro che va radi­cal­mente cam­biato». Per ora è solo una minac­cia che Mat­teo Renzi agita alla Camera – non riba­den­dola invece al Senato, dove parla qual­che ora più tardi – ma cer­ti­fica come il pre­si­dente del Con­si­glio voglia por­tare a casa “in tempi bre­vis­simi” la nuova riforma del lavoro. Dubbi di costi­tu­zio­na­lità a parte — tra­mu­tare un dise­gno di legge delega in un decreto sarebbe una for­za­tura dif­fi­cil­mente accet­ta­bile da Napo­li­tano — il pre­mier mette la pistola sul tavolo parlamentare.

Alla vigi­lia della riu­nione della com­mis­sione Lavoro del Senato che dovrà discu­tere l’articolo 4 della legge delega – quella che riguarda il con­tratto a tutele cre­scenti e, nel volere della destra della mag­gio­ranza anche la riscrit­tura in maniera restrit­tiva dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori – il pre­mier dedica la parte più sen­tita del suo discorso alle Camere sul pro­gramma dei mille giorni al capi­tolo lavoro. L’emergenza disoc­cu­pa­zione per lui va affron­tata subito e vede come fumo negli occhi le divi­sioni all’interno della sua mag­gio­ranza che potreb­bero por­tare ad un ral­len­ta­mento dei tempi di appro­va­zione della delega. La fac­cia del mini­stro Giu­liano Poletti nel momento in cui Renzi ha pro­fe­rito la parola «decreto» era tutto un pro­gramma: la sor­presa lascia nel giro di qual­che secondo spa­zio ad un annuire di capo poco con­vinto. Dif­fi­cile pen­sare che fosse al cor­rente, anche per­ché solo qual­che ora prima — e ieri sera in un incon­tro infor­male — aveva lavo­rato ad un emen­da­mento di com­pro­messo — senza rife­ri­menti all’articolo 18 — per l’approvazione al Senato e – soprat­tutto – alla Camera, per poi non dover tor­nare a palazzo Madama, allun­gan­done i tempi, fis­sati «entro fine anno», con 6 mesi per i decreti dele­gati, di com­pe­tenza governativa.

Le parole del pre­mier hanno di fatto rin­gal­luz­zito i soste­ni­tori dell’addio all’articolo 18, già reso monco dalla riforma For­nero (“Non credo che da una nuova riforma dell’articolo 18 possa arri­vare una varia­zione per l’occupazione ma sull’articolo 18 è in corso una nuova par­tita ideo­lo­gica: c’è chi vuole vin­cere una par­tita al di là di quello che serve al Paese”, ha detto ieri l’ex mini­stro) di due soli anni fa. Lo stesso Mau­ri­zio Sac­coni (Ncd), rela­tore del prov­ve­die­mento e pre­si­dente della com­mis­sione Lavoro al Senato, è pas­sato dalle dichia­ra­zioni con­ci­lianti di lunedì — «Un com­pro­messo è a por­tata di mano» — ad applau­dire le parole del pre­mier — «Ha posi­zione più avan­zata del Pd» — e a chie­der­gli il corag­gio di «andare avanti sul decreto». Sulla stessa posi­zione Piero Ichino – autore dell’emendamento per sosti­tuire il rein­te­gro con un’indennità nel con­tratto a tutele cre­scenti – e tutta Scelta Civica.

Le rea­zioni sul fronte sini­stro però non si fanno atten­dere. Il più duro è Mau­ri­zio Lan­dini che nel giro di due bat­tute fa crol­lare la pre­sunta asse col pre­mier: «Sarebbe uno strappo inac­cet­ta­bile se si inter­ve­nisse con un decreto o se si can­cel­lasse l’articolo 18: il pro­blema è esten­derlo a quelli che non ce l’hanno». Il segre­ta­rio Fiom va oltre, chie­dendo che il Diret­tivo Cgil di oggi discuta di «scio­pero gene­rale». Con­tro Renzi anche il “ren­ziano” Ange­letti, Bonanni e tutta Sel. Silente il M5s.

Nel Pd le acque sono agi­tate: Area rifor­mi­sta ha subor­di­nato la col­la­bo­ra­zione nella nuova segre­te­ria ad una discus­sione ad hoc sulla riforma del lavoro, con Renzi dispo­ni­bi­lie a con­ce­derla a fine set­tem­bre. L’ala sini­stra intanto si schiera a difesa dell’articolo 18, per­suasa ancora di spun­tarla. Cesare Damiano, colui che come pre­si­dente della com­mis­sione Lavoro della Camera — a mag­gio­ranza sini­stra Pd — potrebbe allun­gare i tempi della delega, è con­vinto che quella del decreto evo­cato da Renzi sia «una pres­sione nor­male in que­sti casi: alla fine io credo che il decreto non ci sarà». Allo stesso modo lui – nono­stante la pres­sante richie­sta – non sarà sta­mat­tina al Senato quando i sena­tori Pd discu­te­ranno il testo dell’emendamento alla delega. L’ipotesi era quella di un’indicazione gene­rica a rimo­du­lare parti dello Sta­tuto. Poi è arri­vato il ricatto di Renzi. Le con­se­guenze si capi­ranno da oggi in poi.

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