Il Jobs Act dei mini jobs «alla tedesca»

by redazione | 19 Settembre 2014 9:43

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In que­sti giorni, nell’aula del Senato, si discute il Jobs Act e il dibat­tito più acceso è sull’art. 4, in mate­ria di «rior­dino delle forme con­trat­tuali», che pre­vede l’introduzione del con­tratto di lavoro a tempo inde­ter­mi­nato «a tutele cre­scenti». Il con­tratto sarà for­mal­mente a tempo inde­ter­mi­nato ma, di fatto, per i primi tre anni sarà pre­ca­rio: infatti, «a tutele cre­scenti» signi­fica che per i primi tre anni il licen­zia­mento sarà libero, in quanto non si appli­cherà la tutela con­tro il licen­zia­mento ille­git­timo, pre­vi­sta dall’art. 18 dello Sta­tuto dei lavoratori.

Intro­durre que­sta nuova tipo­lo­gia con­trat­tuale può essere sen­sato solo a fronte dell’abrogazione di tutti gli altri con­tratti tem­po­ra­nei (a ter­mine, in som­mi­ni­stra­zione, ecc.), men­tre nella delega è pre­sen­tata come «ulte­riore» tipo­lo­gia con­trat­tuale. Si deve per­ciò pre­clu­dere la pos­si­bi­lità di uti­liz­zarla, tra le stesse parti, dopo aver già sti­pu­lato un con­tratto a ter­mine, altri­menti si legit­ti­merà un periodo di prova di 6 anni, invece che 6 mesi (3 anni a ter­mine, più 3 a tutele crescenti).

Nono­stante la dichia­rata fun­zione di «favo­rire l’inserimento nel mondo del lavoro», nella delega non c’è alcun rife­ri­mento espli­cito ai disoc­cu­pati di lunga durata, quindi tale con­tratto si appli­cherà a tutte le nuove assun­zioni, anche di quei lavo­ra­tori che ver­reb­bero comun­que assunti con il buon vec­chio (e più tute­lato) con­tratto a tempo indeterminato.

Nella delega si pre­vede, inol­tre, l’introduzione di un «com­penso ora­rio minimo», o sala­rio minimo, per tutti i rap­porti «di lavoro subor­di­nato». Il sala­rio minimo dovrebbe avere la fun­zione di fis­sare una retri­bu­zione minima inde­ro­ga­bile che, in attua­zione dell’art. 36 della Costi­tu­zione, assi­curi al lavo­ra­tore e alla sua fami­glia «un’esistenza libera e digni­tosa». Que­sta garan­zia è già pre­vi­sta, per gran parte dei lavo­ra­tori subor­di­nati, dal con­tratto col­let­tivo nazio­nale. Per que­sti ultimi, tut­ta­via, l’introduzione di un sala­rio minimo legale potrebbe deter­mi­nare un abbas­sa­mento della tutela, nel caso in cui fosse (come pro­ba­bile) di importo infe­riore ai minimi fis­sati dai con­tratti col­let­tivi. Men­tre sarebbe auspi­ca­bile esten­dere il sala­rio minimo a quel Quinto Stato, com­po­sto dai lavo­ra­tori auto­nomi eco­no­mi­ca­mente dipen­denti (co?.co?.co., a pro­getto, par­tite iva in mono­com­mit­tenza), che ne ha più bisogno.

Serve che una con­trat­ta­zione col­let­tiva più inclu­siva fissi i minimi sala­riali per tutte le cate­go­rie e per tutti i lavo­ra­tori (anche para­su­bor­di­nati) e che la legge renda quei minimi effi­caci erga omnes e inde­ro­ga­bili. Il timore che, attra­verso l’introduzione del sala­rio minimo, si fini­sca, invece, per legit­ti­mare lavori a basso red­dito si raf­forza leg­gendo la norma suc­ces­siva, che pre­vede di «esten­dere il ricorso a pre­sta­zioni di lavoro acces­so­rio per le atti­vità lavo­ra­tive discon­ti­nue e occa­sio­nali, in tutti i set­tori pro­dut­tivi, attra­verso l’elevazione dei limiti di red­dito attual­mente pre­vi­sti». Il lavoro acces­so­rio (o lavoro con i vou­cher), intro­dotto dalla riforma Biagi, con la fina­lità di far emer­gere atti­vità som­merse, è stato gra­dual­mente libe­ra­liz­zato, ma è sot­to­po­sto a un limite mas­simo di com­penso annuo (5.000 euro), giu­sti­fi­cato dalla mar­gi­na­lità di tali pre­sta­zioni, che non inci­dono sullo stato di disoccupazione.

Se si alzasse troppo la soglia eco­no­mica dei 5.000 euro, que­sta tipo­lo­gia con­trat­tuale, non più occa­sio­nale né acces­so­ria, entre­rebbe in com­pe­ti­zione con le altre, come il con­tratto a ter­mine o la som­mi­ni­stra­zione, che, per quanto pre­ca­rie, sono molto più tute­late, pro­du­cendo un’ulteriore pre­ca­riz­za­zione del lavoro.

Libe­ra­liz­zare il lavoro acces­so­rio signi­fica inse­guire il modello tede­sco dei mini jobs che però hanno deter­mi­nato, in Ger­ma­nia, l’ampliamento senza pre­ce­denti dei wor­king poor. È un altro il modello tede­sco cui biso­gna guar­dare, ovvero quello della par­te­ci­pa­zione dei lavo­ra­tori alla gestione dell’azienda.

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