Jobs act, cosa cambia (davvero)
ROMA Una mediazione interna al partito, e un passo indietro rispetto alle intenzioni. La mossa di Matteo Renzi ridurrebbe parecchio il peso della modifica all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori da inserire nel Jobs act. Si tratta di un disegno di legge delega, che dovrà essere approvato da Camera e Senato e poi essere attuato con una serie di decreti legislativi e quindi le incertezze sono ancora molte. Ieri però Renzi ha fornito un dettaglio su come vuole cambiare la disciplina dei licenziamenti. Di fatto l’unica differenza rispetto ad oggi sarebbe l’eliminazione del reintegro nel posto di lavoro da parte del giudice per i licenziamenti economici che sono manifestamente infondati.
Tolti i licenziamenti discriminatori, vietati dai principi costituzionali, la riforma del governo Monti ha modificato i licenziamenti disciplinari e quelli economici. Sui primi, conseguenza di un comportamento del dipendente, il giudice può sanzionare l’azienda con un risarcimento fino a 24 mensilità ma anche con il reintegro, se il fatto non sussiste o se il lavoratore poteva essere «punito» dall’azienda in un altro modo. Renzi ha detto ieri di non voler modificare nemmeno questo punto. Restano i licenziamenti economici, quelli decisi ad esempio quando una nuova tecnica o le vendite in calo spingono l’azienda a ridurre gli addetti. In questo caso, secondo le regole attuali, il giudice può condannare l’azienda a pagare al lavoratore fino a 24 mensilità mentre il reintegro è possibile solo quando i motivi economici sono «manifestamente infondati». Secondo la mediazione di Renzi il Jobs act eliminerebbe il reintegro solo in quest’ultima ipotesi. Le aziende in difficoltà potrebbero «pagare» per mandar via il lavoratore senza rischiare il reintegro. Con un’incognita però. Davanti al giudice, il lavoratore potrebbe sempre dimostrare che si è trattato di un licenziamento se non discriminatorio almeno disciplinare e tentare così la strada del reintegro. Proprio per questo la stessa ipotesi era stata presa in considerazione due anni fa dal governo Monti. E poi scartata.
Lorenzo Salvia
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