by redazione | 6 Settembre 2014 9:03
ROMA — Loro negano «ricatti», aprono al confronto ma tengono il punto. Lui respinge le argomentazioni che hanno «un vago sapore di ricatto» e sottolinea che, senza queste, «la discussione è aperta». L’altro dice che le loro richieste sono «legittime» ma che alcuni toni sono stati «eccessivi».
«Loro», «lui» e «l’altro» sono rispettivamente i sindacati uniti del comparto Sicurezza e difesa, il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il ministro dell’Interno Angelino Alfano. E sono i protagonisti del «giorno due» di una storia che, se davvero sfociasse in uno sciopero delle forze dell’ordine, rappresenterebbe un inedito nella storia della Repubblica italiana. Ci sono numerosi riferimenti normativi che, a leggerli, escludono uno scenario del genere. Non escludono però lo «sciopero bianco», cioè l’applicazione rigida delle regole e dell’orario di lavoro, o l’«autoconsegna», cioè rimanere in ufficio a fine turno, che potrebbero rappresentare due forme alternative di protesta. A quarantott’ore dalle dichiarazioni del governo sullo stop agli aumenti del pubblico impiego, e a ventiquattro dall’annuncio dello sciopero da parte delle forze dell’ordine, i protagonisti muovono le pedine sulla scacchiera di una trattativa. E anche se ciascuno mantiene il punto, il dialogo tra le parti sembra sempre meno un miraggio. Al punto che ieri sera — al termine di una giornata in cui Alfano ha incontrato i vertici di polizia, carabinieri e Guardia di Finanza, e sentito il ministro della Difesa Roberta Pinotti — una soluzione all’impasse sembrava meno lontana. «Non chiediamo aumenti ma solo il giusto. Prendiamo atto con favore della disponibilità del premier a un incontro», scrivono in una nota congiunta i sindacati di polizia, forze dell’ordine, vigili del fuoco, polizia penitenziaria e Cocer interforze. «E, senza alcun ricatto — aggiungono — tuteliamo i diritti del personale che rappresentiamo». Poco prima Renzi, dal Galles, aveva fatto sentire la sua voce. Aveva parlato, riferendosi senza citarla alla minaccia di sciopero, di «toni decisamente inaccettabili». Di «toni inaccettabili che credo facciano del male a chi, per 1.200 euro al mese, è sulle strade a pattugliare».
Al fondo, però, lo stesso Renzi lascia intravedere i margini per una trattativa. «Se c’è un ricatto, noi non siamo disponibili. Se invece non c’è, sono pronto a discutere su tutto». È la stessa argomentazione di cui il premier aveva parlato ore prima con Alfano. Che infatti, prima di aprire la trattativa, aveva messo a verbale tanto il riconoscimento di una protesta fondata su «richieste legittime» quanto però il giudizio sui «toni eccessivi» del sindacato.
Perché è una storia di mediazioni, questa. «Il governo ritiene prioritario l’impegno alla ricerca di una soluzione che riconosca la specificità e il valore di chi ogni giorno assicura la difesa e la sicurezza degli italiani», scrive in una nota l’altro ministro interessato al dossier, e cioè il titolare della Difesa Roberta Pinotti. Ma per quanto il dialogo tra governo e forze dell’ordine sembri nettamente in discesa rispetto a un giorno fa, il rischio — per l’esecutivo — è che l’intera faccenda scateni un effetto domino con ricadute tutt’altro che prevedibili. Basti pensare che la Cgil ieri è scesa in campo lamentando il mancato ascolto da parte del ministro Marianna Madia e invitandola ad aprire «una trattativa» sugli statali. Ed è nulla rispetto allo scenario delineato in serata da Maurizio Landini. «I poliziotti hanno tutte le ragioni per protestare», spiega il leader della Fiom. Che, un secondo dopo, annuncia una possibile «mobilitazione dei metalmeccanici», con tanto di scioperi e manifestazione nazionale. Un allarme non da poco, soprattutto considerando che Landini, qualche giorno fa, aveva avuto un colloquio a Palazzo Chigi. Con Renzi in persona.
Tommaso Labate
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