Gli Usa, con i regimi autoritari

by redazione | 25 Settembre 2014 14:18

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La domanda alle vio­lenze cui stiamo assi­stendo da parte dell’Isis, stanno scon­vol­gendo l’Occidente. Mai nei tempi moderni è esi­stito un altro esem­pio di vio­lenza, che richiama altra vio­lenza. E la domanda da porsi è: «Qual è il fine?» Se pren­diamo in con­si­de­ra­zione quanto sta avve­nendo nella regione medio­rien­tale, a livello poli­tico cir­cola un’altra «verità» che disturba: l’intera regione in que­sta fase appare meglio gover­nata in modo auto­ri­ta­rio anzi­ché in una sorta di «inco­rag­gia­mento alla democrazia».

Era que­sto il tema della lita­nia della pre­si­denza di George Bush (2000–2008) oppure durante della rivolta popo­lare che sem­brava così piena di spe­ranze in Siria, Egitto, Yemen, Bah­rain, risul­tata infine inso­ste­ni­bile. I paesi con risul­tati migliori di que­sti, ora sem­bano essere pro­prio quelli lad­dove il vec­chio regime auto­ri­ta­rio è pre­valso senza grandi intralci (come in Marocco) con qual­che riforma «cosme­tica». Le alter­na­tive pre­sen­tano un situa­zione molto peg­giore: ter­ri­bile guerra civile (Siria) oppure una situa­zione cao­tica senza uscita (Libia). Data la situa­zione in Iraq, gli stra­te­ghi ame­ri­cani non pre­fe­ri­reb­bero, segre­ta­mente, un ritorno di Sad­dam Hus­sein in Iraq come regalo degli dei? La Siria, come l’Iraq ha inviato segnali errati in tutta la regione medio­rien­tale. È ini­ziato tutto con una sfida della popo­la­zione con­tro il regime di Assad, che ha for­nito l’occasione per sca­te­nare una san­gui­na­ria cam­pa­gna di repres­sione di «counterinsurgency».

In seguito, forze poli­ti­che esterne,Turchia, Usa, Paesi del Golfo, hanno for­mato una coa­li­zione come «Amici della Siria» per aiu­tare le forze dell’opposizione ad avere la meglio, mal cal­co­lando le capa­cità mili­tari del governo di Dama­sco. In Siria, invece di un cam­bio di regime va così avanti una Guerra civile che ha già cau­sato 200 mila vite umane, cau­sato milioni di rifu­giati e altri milioni di per­sone inter­na­mente inter­na­mente. Tre risul­tati nega­tivi poli­tici sono la con­se­guenza di que­ste diret­tive: i paesi con­fi­nanti sono stati desta­bi­liz­zati, la irri­solta guerra siriana ha fatto sor­gere varie forme di estre­mi­smo isla­mico e le atro­cità di Assad hanno costi­tuito una licenza ad altri nella regione (come al Sisi) di per­pe­trare cri­mini uma­ni­tari che restano impuniti.

Quale è la lezione da appren­dere? Gli ultimi decenni dovreb­bero inse­gnare all’Occidente che la fase di instau­rare inter­venti colo­niali che ripor­tino suc­cesso è finita e che fon­dare la nuova era di diplo­ma­zia inter­ven­ti­sta con la cro­ciata morale di difesa dei diritti umani, demo­cra­zia e di anti­ter­ro­ri­smo può ingan­nare solo i cit­ta­dini del pro­prio paese. (…)Qua­lora l’intervento mili­tare — poi — non abbia come con­se­guenza l’occupazione, i risul­tati non sono migliori. Mon­ta­gne di corpi umani e deso­la­zione è quanto resta, ma la nuova realtà che si pro­spetta come nel caso della Libia è un caos ingo­ver­na­bile con mili­zie armate che si sosti­tui­scono alle norme di legge. Washing­ton chiama que­ste situa­zioni «fai­led sta­tes» come se non avesse nulla a che vedere con il col­lasso della governance.

L’America e la Nato avreb­bero dovuto aver appreso i limiti della supe­rio­rità mili­tare e le pro­ble­ma­ti­che rela­tive all’ccupazione dai loro fal­li­menti in Afgha­ni­stan ed Iraq. La supe­rio­rità mili­tare può gene­ral­mente impres­sio­nare sol­tanto un governo del Terzo Mondo e distrug­gere la sua capa­cita mili­tare, ma que­sta è sol­tanto una fase ini­ziale e sem­plice, come uno sforzo per con­trol­lare il future poli­tico di un deter­mi­nate paese. Bush non capì que­sto quando per l’Iraq annun­ciò «mis­sione com­piuta» al mondo intero. (…) L’idea di tra­sfor­mare in sicu­rezza una mili­zia indi­gena adde­strata per sal­va­guar­dare il governo impo­sto con un inter­vento mili­tare è dav­vero una «mis­sione impos­si­bile». Non è con la forza mili­tare che si puo con­trol­lare la sto­ria. Que­sto modo di pen­sare è parte della cul­tura poli­tica degli Usa, in base al quale la sicu­rezza viene assi­cu­rata con la vio­lenza del potere.

Que­sto ci ricon­duce all’Isis e quanto si può fare per miglio­rare la situa­zione e non peg­gio­rarla. Obama è stato inca­ri­cato di for­mu­lare la rispo­sta nella regione medio­rien­tale. Ha dovuto affron­tare una pro­ble­ma­tica dai mol­te­plici aspetti. È stato eletto pre­si­dente due volte, in parte per porre fine al coin­vol­gi­mento ame­ri­cano nelle guerre oltreo­ceano, sopra­tutto in Medio Oriente e ancora una volta sta facendo una corsa per ramaz­zare nella regione ed in Europa alleati per una nuova guerra con­tro un nemico che non poneva nes­suna minac­cia con­tro la popo­la­zione ame­ri­cana. Per aggi­rare que­sta realtà è stato neces­sa­rio dra­ma­tiz­zare la bar­ba­rie delle tat­ti­che dell’Isis, foca­liz­zan­dosi sulle vit­time ame­ri­cane e assi­cu­rando che non ci sareb­bero stati morti ame­ri­cani. E qui sta il noc­ciolo del pro­blema: la lea­der­ship ame­ri­cana nella regione dipende dalla pro­te­zione dello sta­tus quo autoritario.

Quanto ha pro­po­sto Obama è una vec­chia for­mula per il fal­li­mento: bom­bar­da­menti, adde­stra­mento, for­ni­tura di armi e «con­si­glieri» per forze ami­che (curdi ira­cheni, siriani mode­rati, mili­zie ira­chene) per spez­zare l’arruolamento e i finan­zia­menti dell’Isis.

Il pro­gramma di Obama è una pal­lida ver­sione della dot­trina post-Vietman di «counter-insurgency» ed i rischi di morti ven­gono mini­miz­zati, così come lo sporco lavoro, che viene svolto dai droni e dalle forze indi­gene. Ebbene, come pre­ce­den­te­mente, il risul­tato sarà una mistura di caos, «inci­denti» che pro­vo­che­ranno la morte di civili inno­centi facendo emer­gere il risen­ti­mento dell’opinione pub­blica e grande sof­fe­renza della società civile creando altri rifu­giati e inter­na­mente cit­ta­dini in fuga. È que­sto ancora una volta il modo mili­ta­ri­stico per affron­tare la situa­zione e cer­ta­mente per creare una situa­zione ancora peg­giore. Cer­ta­mente esi­stono opzioni pre­fe­ri­bili, ma per attuarle richiede ammet­tere che l’occupazione ame­ri­cana dell’Iraq è stata la causa dell’emergere dell’Isis sopra­tutto dopo l’eliminazione degli ele­menti Bathi­sti nel governo e le forze armate con l’incoraggiamento al set­ta­ri­smo shiita.

Un altro per­corso pro­dut­tivo pre­sup­pone una visione diplo­ma­tica ame­ri­cana che com­por­te­rebbe un allen­ta­mento dei legami di dipen­denza da Israele e seguire piut­to­sto una linea di inte­ressi geo-strategici in Medio Oriente.
Ciò com­por­te­rebbe inclu­dere l’Iran per tro­vare una solu­zione poli­tica per la guerra civile in Siria; pro­porre una «nuclear free-zone» in tutto il Medio Oriente; eser­ci­tare pres­sione su Israele per il rico­no­sci­mento ai Pale­sti­nesi dei diritti rico­no­sciuti dal diritto inter­na­zio­nale. È que­sto un approc­cio pret­ta­mente poli­tico che con­tra­sta con il mili­ta­ri­smo che sta pro­du­cendo distru­zione nell’intera regione medio­rien­tale, sin da quando la par­ziale sta­bi­lita della guerra fredda è venuta meno con il crollo del muro di Ber­lino. Le geo­po­li­ti­che mili­ta­ri­ste sem­brano por­tare ancora verso un’altra cata­strofe occi­den­tale nel Medio Oriente.

Non esi­ste all’orizzonte alcuna inten­zione poli­tica — da nes­suna parte — che possa con­tra­stare tale disa­strosa deci­sione poli­tica: e così il ciclo della vio­lenza assas­sina si ripete ancora una volta. Il mili­ta­ri­smo di que­sta coa­li­zione occi­den­tale sta con­fron­tan­dosi con il mili­ta­ri­smo dell’Isis, come già acca­duto in pre­ce­denti inter­venti occi­den­tali in quelle aree.

* Rela­tore spe­ciale Onu per i diritti umani nei ter­ri­tori occu­pati palestinesi

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